"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 12 maggio 2008

Speed Racer

Dopo aver perso il fratello Rex in una gara automobilistica, il giovane Speed Racer è diventato un asso del volante allo scopo di riabilitarne il nome: perciò gareggia con la sua auto Mach 5 in un campionato dove però tutto è già deciso, come gli rivela spietatamente il manager Royalton, che vorrebbe annetterlo alla sua scuderia. Forte dell’indipendenza sempre difesa dal padre, ingegnere meccanico, Speed combatte contro il potere rappresentato da Royalton, imparando a sue spese le insidie della competizione e la necessità di diventare un tutt’uno con la sua auto.

Un ritorno gradito, quello dei fratelli Wachowski, troppo ingenerosamente accantonati dopo le affascinanti derive della trilogia di Matrix e che oggi rientrano, letteralmente, in pista per trasporre su grande schermo un cartoon di culto proveniente dal Giappone degli anni Sessanta: la serie Superauto Mach 5 Go! Go! Go!, creata da Tatsuo Yoshida per lo Studio Tatsunoko, è infatti ossequiata con riverenza dal versante estetico (l’aderenza di attori e mezzi al modello è maniacale) ma gioca poi le sue carte sul piano di una libertà formale che ci dice molto sulle possibile strategie applicabili al cinema del terzo millennio.

L’intento dei due fratelli terribili è infatti quello di far compiere un balzo in avanti alle tecniche del moderno cinema digitale, già sperimentato da altri registi con 300 e Sin City, creando un ibrido che stia a metà strada fra il divertissement più infantile e la riflessione teorica sulla smaterializzazione dell’immagine, riconfigurata secondo l’estetica del cartoon: la fotografia esalta per questo i toni pop e riduce quasi a zero la profondità del campo per riprodurre la bidimensionalità del disegno animato, mentre le coreografie pirotecniche concretizzano il sogno di ogni bambino che almeno una volta abbia tentato di far compiere alle sue automobili giocattolo le prodezze più impensate, in barba a ogni regola stabilita dalla gravità, dalla fisica e dallo spazio-tempo.

Speed Racer è perciò un film dove si respira un senso di grande libertà e di voglia di rompere gli schemi, ma anche di palpabile divertimento e di voglia di stabilire una contagiosa empatia con lo spettatore, grazie a un quadro ricchissimo di particolari e di movimento. In questo senso la storia stessa si eleva chiaramente a un livello metaforico riproponendo le tematiche del già citato Matrix: la rottura di un sistema oppressivo che costringe la vitalità degli esseri viventi in schemi dove ogni gerarchia è già stata decisa, e ogni partecipante è già incasellato in un ruolo. Come il messianico Neo, Speed si pone dunque ancora una volta come elemento di rottura rispetto al già visto e al già fatto, e trasporta il film verso un’astrazione visiva che nel vorticoso finale impasta i colori e descrive geometrie a folle velocità: le linee cinetiche attraversano lo schermo descrivendo geometrie fantastiche che si ritrovano anche negli sfondi onirici dove agisce il fratellino Spritle con la sua scimmietta Chim-Chim, e lo spazio viene fluidificato in un continuo scorrere di inquadrature dove gli stacchi fra una scena e l’altra avvengono vorticosamente, con un effetto a tendina che di fatto iscrive ogni luogo nel successivo e trasmette l’illusione di una continua danza delle immagini. E’ il momento in cui prende vita il sogno del piccolo Speed, che all’inizio del film vediamo durante le ore di lezione a scuola immergersi negli scenari della corsa e disegnare sul suo quaderno le scene della gara, poi “animate” facendo semplicemente scorrere le pagine, come agli albori della macchina-cinema.

La storia cede quindi il passo alla sperimentazione visiva, e procede attraverso gli archetipi che sono poi quelli della più classica fiaba: un sogno inseguito a lungo e una comunità/famiglia che accoglie l’eroe e lo sostiene nei momenti di difficoltà ricordandogli come il lavoro di squadra e la connessione con il mondo (e con le sensazioni trasmesse e provate dalla sua auto) siano la carta migliore per vincere. L’accento posto sui buoni sentimenti non è stucchevole poiché rientra nella categoria del gioco infantile, quasi naif nella sua ricercata ingenuità, utile a fornire alcuni punti fermi allo spettatore lungo la vorticosa strada percorsa dalla Mach 5. Non è casuale che rispetto al cartoon l’accento sulle prodigiose capacità della vettura siano tenute in second’ordine e che i suoi fantastici gadget (che i produttori giapponesi ripresero dalla mitica Aston Martin di James Bond dopo aver visto Missione Goldfinger) siano utilizzati molto poco rispetto alla durata globale. Perché questo è un cinema focalizzato soprattutto su una parificazione uomo-macchina che quindi non crea scompensi e vantaggi a favore di una delle due parti: la vittoria non a caso arriva quando Speed capisce che deve armonizzare se stesso alla vettura, capirne le necessità e sfruttarne la forza, creando una sinergia nuova che scavalchi le dicotomie classiche.

In questo senso capiamo meglio anche il vituperato finale di Matrix Revolutions con la sua pacificazione uomo-macchina, primo tassello di un percorso volto proprio al superamento della semplice vittoria di una sola delle due parti in campo. Ai due fratelli interessa una deriva nuova, un sincretismo che mescoli gli opposti e crei delle soluzioni originali. Che è poi quello che il film fa, rivelandosi allo stesso tempo estremamente smaliziato e innovativo dal versante visivo e narrativamente semplice e di facile fruizione. Ben distante, per fortuna, dalla malizia che si ritrova in altri esperimenti di cinema digitale (pensiamo agli Spy Kids di Robert Rodriguez) o al freddo accademismo dell’ultimissimo Robert Zemeckis.

La solidità del progetto è peraltro garantita dal team di effettisti capitanati dall’ottimo John Gaeta (allievo del Douglas Trumbull di 2001: Odissea nello spazio) e da un cast di tutto rispetto dove, accanto a grandi nomi come Susan Sarandon e John Goodman troviamo volti cult come Richard Rountree (mitico interprete di Shaft) e l’astro emergente Emile Hirsch, reduce dal bellissimo Into the Wild di Sean Penn.

Speed Racer
(id.)
Regia e sceneggiatura: Larry e Andy Wachowski, dalla serie animata creata da Tatsuo Yoshida.
Origine: Usa, 2008
Durata: 135’

Sito ufficiale italiano
Sito ufficiale americano
La trama della serie animata
Tatsuo Yoshida su Wikipedia
Video del film con sigla italiana del cartoon

1 commento:

Zonekiller ha detto...

complimenti per il tuo blog