"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 19 giugno 2008

King Kong (2005)

1933. Nel pieno della Grande Depressione il regista Carl Denham organizza una spedizione verso la misteriosa e inesplorata Skull Island nella speranza di girare il film della sua vita. Cast e maestranze vengono reclutate con l’inganno e nel gruppo spiccano lo sceneggiatore e drammaturgo Jack Driscoll e la sfortunata attrice Ann Darrow, che accetta l’incarico per salvarsi dalla miseria. L’isola si rivela abitata da un gruppo di indigeni che rapiscono Ann per sacrificarla al dio Kong, un gigantesco gorilla che vive in un habitat dove sono sopravvissuti dinosauri e mostri di ogni tipo. Una spedizione guidata da Denham e Driscoll (nel frattempo invaghitosi dell’attrice) si organizza per recuperare la sventurata ragazza sopportando ogni tipo di avventure. Quando vedrà svanire il suo sogno di realizzare un film da quell’incredibile esperienza, Denham cercherà di catturare Kong per portarlo a New York ed esibirlo in pubblico come trofeo.

La tendenza odierna al continuo ritorno a storie e figure di un immaginario preesistente ha da tempo assunto una forma parassitaria che pochi esempi possono dire di aver totalmente evitato: il King Kong di Peter Jackson è uno di questi, un’operazione intelligente e consapevole di porsi in coda a una grande tradizione, nata soprattutto con l’intento di omaggiare ed esplorare la pellicola che aveva innescato nel regista il desiderio di fare cinema tanti anni prima. Le cronache non hanno infatti mai nascosto come Jackson avesse già tentato anni addietro di realizzare una versione del mito più iconoclasta e ironica, poi interrotta per gli imponderabili casi di cui è piena la storia del cinema: ci è riuscito nel 2005, forte della pioggia di Oscar e del consenso planetario rastrellato con la trilogia del Signore degli Anelli che gli hanno garantito non solo la libertà creativa necessaria, ma anche i mezzi e la maturità per dare forma al suo obiettivo.

Il King Kong “definitivo” di Jackson si pone quindi stavolta in un legame di perfetta continuità e, soprattutto, di rispetto dell’originale, nei cui confronti è mosso da un piglio ossessivo e filologico: i personaggi e le sequenze sono infatti ampliate ed elaborate in modo tale che ogni aggiunta e cambiamento rispetto all’originale non arrivi mai al suo tradimento, ma semplicemente alla sua espansione. Il piglio è quello di chi esplora i confini tracciati dal modello, ne testi le possibili variazioni ma infine ne recuperi l’essenza. Un solo esempio per tutti: il duello tra Kong e il T-Rex per la salvezza della bella Ann: nell’originale è un uno-contro-uno potente e estremamente fisico; nel remake invece sono ben tre i sauri affrontati dal gorilla, in uno scontro che dal piano si trascina in un crepaccio, fra una giungla di liane e infine di nuovo in piano. Identico l’inizio e il finale (che vede nuovamente Kong contro un unico Rex), ciò che cambia è quello che sta in mezzo, aggiunto ed espanso per offrire una inedita prospettiva sulla scena originaria. Allo stesso tempo sono state recuperate sequenze all’epoca tagliate come quella degli insetti e il risultato è un vero e proprio film-monstre, che moltiplica la breve durata del film originario fino a raggiungere 192 minuti di avventura nella versione estesa (purtroppo inedita in Italia).

Una tale cavalcata nel fantastico è peraltro condotta con il piacere e il divertimento di chi sta sfruttando sì nuove tecnologie e nuove strategie narrative (pensiamo alle soggettive di Ann mentre si trova nelle mani del gorilla in corsa, impensabili all’epoca) ma con la mente rivolta al passato: quella che si palesa allo spettatore è dunque un’avventura vecchio stampo, fatta di mostri giganti, scene colossali ma mai frenetiche e sempre comprensibili, dove il gusto per l’invenzione e la messinscena di creature e situazioni sempre più pericolose deve poter meravigliare lo spettatore odierno esattamente come all’epoca fece il film di Cooper e Schoedsack. L’impresa è in parte complicata dal fatto che il nuovo King Kong paga certamente la consapevolezza del proprio essere remake e omaggio e, nell’espansione di ogni possibile spunto, risulta dilatato al punto da risultare ostico a chi non voglia accettare quella che è una vera e propria discesa di Jackson nel proprio sogno; complice anche un inizio troppo lungo e la tendenza all’iperbole che è totalmente ascrivibile al regista, il film risulta meno commerciale di quanto non potrebbe apparire all’inizio e chiede allo spettatore bendisposto di lasciarsi prendere per mano.

E’ interessante inoltre notare il modo in cui Jackson ha aggiornato la struttura stessa del film, che è costruito attraverso un fitto reticolo di corrispondenze tra i personaggi: Denham infatti rappresenta l’alter ego di Kong (non a caso è il primo a vederlo e, soprattutto, a scambiare uno sguardo diretto con il mostro) perché come lui è un predatore che tenta di sopravvivere in una giungla (quella degli affaristi di Hollywood). Ciò che gli manca è l’altruismo e la capacità di provare un’emozione sincera, caratteristica invece ascrivibile a Jack Driscoll, che rappresenta infatti una sorta di versione positiva del mondo dello spettacolo, raffinato autore di commedie off, capace di innamorarsi della sua bella e di sacrificarsi fino a diventare il vero eroe della situazione (ben più del vanesio attore Bruce Baxter, altro esempio del dualismo apparenza/sostanza che caratterizza l’industria dello spettacolo). Anche Kong possiede queste caratteristiche positive, perché è capace di emozionarsi per un tramonto, come accade anche ad Ann. I due personaggi sono in fondo affini tra loro, in quanto impegnati in una perenne lotta per la sopravvivenza nelle rispettive giungle e tra loro stabiliscono un linguaggio che è quello del gioco. La loro affinità è dunque spogliata dei sottotesti freudiani e sessuali presenti nel film originale per esaltare invece il valore ludico del rapporto fatto di complicità e piacere del divertimento. In tutto questo ritratto Peter Jackson è il demiurgo che si riflette in ogni figura, nell’ossessività di Denham, nella passionalità di Driscoll, nella stoica risolutezza di Kong e nel candore di Ann, cercando di stabilire con lo spettatore lo stesso legame empatico della bella con la bestia attraverso la costruzione di un film che è un grande meccanismo ludico, nato per fare divertire le nuove generazioni.

La parafrasi del film originale, infine, passa anche per l’intelligente utilizzo degli effetti speciali, che, sfruttando il digitale in senso anti-realistico, riproducono il senso della finzione scenica: basta notare nella scena dei brontosauri in fuga come lo sfondo fittizio ricordi pienamente la vecchia tecnica della retroproiezione. Per lo stesso legame di continuità, quindi, la modernissima motion-capture con cui è animato Kong diventa una naturale evoluzione della gloriosa stop-motion di Willis O’Brien al quale, fra i tanti, il film è naturalmente dedicato.

King Kong
(id.)
Regia: Peter Jackson
Sceneggiatura: Fran Walsh, Philippa Boyens, Peter Jackson, dal soggetto originale di Merian C. Cooper e Edgar Wallace
Origine: Usa, 2005
Durata: 192’ (versione estesa); 180’ (versione cinematografica)

Intervista a Peter Jackson
Sito ufficiale americano
Sito italiano dedicato a Peter Jackson
Sito americano dedicato al mito di King Kong
Official FanSite di Peter Jackson

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