"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 2 febbraio 2009

From Inside

From Inside
 
Un treno a vapore attraversa incessantemente una Terra ormai devastata da una immane catastrofe. A bordo, la giovane Cee riflette sul viaggio e sui timori legati al suo stato: la ragazza infatti è incinta, ma è sola al mondo ed è perseguitata da orribili visioni che sembrano impedire ogni margine di speranza in una realtà ormai vicina al capolinea. Una misteriosa figura bendata però sembra vigilare su di lei, silenziosa ma presente, mentre il viaggio prosegue.

All’origine del progetto c’è un graphic novel, realizzato dallo stesso John Bergin, che di questa trasposizione è autore completo, avendo curato anche il montaggio, la fotografia e l’animazione. Il frutto di questo lavoro è un’opera potente e oscura, che riesce con pochi elementi a definire immediatamente il contesto e le emozioni care all’autore, evocando sensazioni di profondo e disperato nichilismo, dove il viaggio diventa metafora di un percorso verso un ineluttabile destino. La narrazione è scandita dalla voce over della protagonista, che enuncia i suoi pensieri con ponderazione e crea un flusso di parole e suoni quasi ipnotico, che, insieme al clangore incessante del treno che attraversa i binari e alle inquietanti musiche di Jeff Rona e David Edwards, funge da collante tra le visioni che definiscono il particolare look visivo del film.

Dall'originale cartaceo viene ripresa la fissità delle immagini disegnate e animate solo in parte, come a voler restituire l'idea di una “lettura” del mondo e degli scenari che vengono ritratti, quasi una sorta di possibile rielaborazione del concept ben più ameno che motivava le sperimentazioni di Supergulp! Una scelta anch’essa ragionata, come è tutto il film, capace di unire una profonda focalizzazione sulla materia a uno slancio lirico e visionario che conquista il cuore prima della mente, pure appagata da uno stile visivo vagamente impressionista, che mescola realtà e sogno. Non sappiamo infatti quanto di ciò che vediamo sia frutto dei timori inconsci di Cee o pura verità: la ragazza è il nostro unico tramite in quella realtà devastata, la definisce e forse la crea, mentre si interroga sulle cause del disastro, rispetto alle quali ha un’unica certezza: sono state provocate dall’uomo.

Il film innesca in questo modo una dicotomia fra l’interno della mente umana, dal quale sgorgano visioni mostruose e atteggiamenti distruttivi (la mattanza dei bovini, l’uso dei cadaveri come combustibile del treno) e un esterno che con la solennità dei pochi manufatti ancora esistenti riverbera la gloria di un passato ormai lontano e dona al paesaggio desertico una parvenza spettrale. Lo scenario pertanto descrive una realtà post-industriale, dove dominano giganteschi ponti ferroviari semi crollati, fabbriche ormai divorate dalla ruggine e pochi villaggi in lotta contro le inondazioni provocate da una pioggia violenta e da acque che hanno il colore del sangue. Il tutto contribuisce a rimarcare la forte componente visionaria dell’opera, dove il proliferare delle immagini che Bergin produce sembrano soprattutto rimarcare l’idea della maternità negata, chiara metafora dei timori che affliggono la giovane Cee: il ricordo di un peluche cui tanti anni prima fu estratto il carillon dal ventre; un bovino gravido che viene squartato; allucinanti sale operatorie dove agiscono medici dalla faccia di teschio con strumenti chirurgici mostruosamente deformati; carrozze-lazzaretto: tutto sembra muovere nel senso di una negazione di ogni possibile continuità della vita. 

Gli interni sono pertanto anche quelli del corpo femminile, in cui sta nascendo quel bambino che potrebbe rappresentare il domani, quello delle gallerie attraversate dal treno e quello dei vagoni in cui si consuma il dramma e si riassume tutta la miseria della condizione umana. Ma gli interni sono soprattutto quelli dell'anima, di una vita che vuole vivere e trova in un misterioso uomo bendato un aiuto generoso e sempre presente, la cui identità non verrà mai rivelata e che aiuterà Cee a transitare dal terrore alla speranza. Forse è solo un’ombra, magari quella del marito scomparso tempo addietro, un ennesimo scampolo di sogno per affrontare la realtà. In ogni caso non siamo vicini alle note positive presenti in opere come I figli degli uomini, perché il viaggio è caratterizzato da una progressiva presa di coscienza di quanto ormai poco margine sia rimasto per immaginare un possibile re-inizio e Bergin va fino in fondo a questa sua scelta, non risparmiando improvvisi cambi di tono.

Il viaggio serve dunque a empatizzare con i personaggi, a condividere i loro dubbi, i tormenti e le lotte per proseguire verso una meta che non conosciamo ma che sulla fiducia crediamo utile a definire un nuovo punto di partenza: soffriamo delle difficoltà provocate da ogni ostacolo che si frappone all’avanzare del gigante d’acciaio, e gioiamo di ogni piccolo progresso della carovana, immersi come siamo nella vicenda. Le sperimentazioni visive passano poi per una mescolanza (a onor del vero non sempre riuscita) di disegno tradizionale e animazione 3-D per restituire il senso della profondità, soprattutto degli elementi materici (il treno, le fabbriche, i binari), che crea un contrasto interessante e vagamente cyberpunk con la qualità pittorica dei disegni tradizionali: in alcuni passaggi sembra di riconoscere anche possibili debiti dalle opere di H.R. Giger, che ossequiano la componente post-apocalittica dell’idea.

Presentato in anteprima italiana al Future Film Festival 2009 dopo numerose manifestazioni internazionali, From Inside rappresenta una delle più belle folgorazioni degli ultimi anni, lancinante e poetico, inquietante, anche spaventoso, ma profondamente carico d’umanità.


From Inside
Regia e sceneggiatura: John Bergin
Origine: Usa, 2008
Durata: 71’

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