"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 13 maggio 2009

Punisher: La lunga e fredda notte

Punisher: La lunga e fredda notte

“I bambini erano ammalati. Non siamo andati quel giorno. Ora viviamo a Ditmas Park, e i nostri figli e i nostri nipoti vengono a trovarci. La nostra casa è piena di voci. I bambini ridono, o fanno il broncio, o si lamentano perché devono finire le loro verdure. I genitori faticano a mantenere l’ordine e alzano la voce inutilmente. Io sono vecchio, grasso e lento. E’ perfetto.”

In attesa di leggere l’edizione italiana di Valley Forge, Valley Forge, capitolo conclusivo della lunga gestione Ennis (in uscita in questi giorni), torniamo ad occuparci del Punitore perché l’undicesimo volume della collana “Punisher MAX” segna un importante traguardo per il fecondo rapporto che ha visto coincidere il percorso artistico dello sceneggiatore irlandese con il personaggio della Marvel Comics. La lunga e fredda notte si pone in continuità con alcune storie precedenti, In principio, Mondo alla rovescia, Barracuda e L’uomo di pietra (pubblicate rispettivamente nei volumi 2, 5, 8 e 9 della collana), intrecciandole nel segno della paternità mancata: quella paternità che può costituire a un tempo il “vuoto”, ovvero quella mancanza che l’anima sogna di colmare, ma anche il “pieno”, ovvero quel fattore che ha finito per determinare il proprio destino.

Chi non avesse mai letto le avventure del Punitore forse saprà ugualmente che la sua missione omicida nei confronti dei criminali newyorkesi inizia con il massacro della famiglia (moglie e due figli) a Central Park ad opera di alcuni malavitosi alle prese con uno scontro a fuoco: un evento che ha sicuramente scatenato una follia già latente (come lo stesso Garth Ennis ha precisato in Born, nel primo volume della collana) ma che è il punto di snodo fondamentale per comprendere il personaggio e per penetrarne le emozioni più recondite, quelle solitamente mascherate dietro la maschera di pietra e il teschio iconico che adorna la celebre maglietta del vigilante. Ennis ci è arrivato dopo un lungo percorso, iniziato con la ricostruzione dell’icona anti-eroistica, facendo spesso ricorso a un’ironia grottesca e iconoclasta, quella che portava il personaggio di Frank Castle a scontrarsi contro nemici improbabili o a ridicolizzare i classici supereroi (come Spider-Man o Devil): ma progressivamente lo sceneggiatore ha anche tentato di spostare il baricentro della narrazione verso una tipologia di racconto che fosse distante dalle classiche coordinate del genere per indagare la disperazione e il marciume insito in una visione del mondo. Lo sguardo del Punitore è dunque rimasta la direttrice, ma gradatamente si è instaurata una impalpabile dicotomia con lo sguardo dello stesso Ennis, che ha portato lo sceneggiatore a estrinsecare una sensibilità nuova, utile a definire la follia del protagonista e la fragilità (splendidamente umana) dei sentimenti che si agitano nel cuore dell’uomo, prima ancora che del personaggio.

Il percorso ha visto articolare questa dinamica attraverso uno splendido lavoro sui comprimari (rimando a tal proposito all’articolo sul precedente volume Vedove nere) che hanno avuto il compito di elaborare quel sentire latente mai compiutamente affrontato o espresso da un personaggio abituato a “uccidere le sue emozioni”, per tentare di evidenziare l’impossibile umanità di un universo in disfacimento, ma anche per ribadire una volta di più le motivazioni alla base della crociata che muove il Punitore, una missione che nei continui fallimenti trova sempre la forza di voler continuare sebbene la realtà circostante urli la sua assurdità. L’introduzione del personaggio di Barracuda, sgradevole e gigantesco killer di colore, sboccato e privo di qualsiasi umanità, nemesi per eccellenza di questo lungo arco narrativo, ha costituito la quadratura del cerchio perché ha permesso a Ennis un momentaneo ritorno alle atmosfere grottesche pure a lui care, ma che con questo volume capiamo essere state soltanto un illusorio tentativo dei personaggi di affrancarsi da una penna che ormai volgeva inevitabilmente verso l’introspezione e la tragedia.

La paternità al centro de La lunga e fredda notte diventa così momento di confronto per protagonista e antagonista con il passato: Frank Castle scopre l’esistenza di una figlia nata da una fugace avventura (con Katherine O'Brien, la donna conosciuta in In principio, poi ritrovata in Mondo alla rovescia e infine perduta ne L'uomo di pietra) e riscopre in sé quei sentimenti che aveva dimenticato, ma soprattutto assapora la possibilità di vivere quella vita in cui è “vecchio, grasso e lento” che inconsciamente rimpiange di non aver mai potuto condurre e che infine capirà di non potersi permettere. La vita di un uomo e un padre “normali”. Barracuda dal canto suo vuole invece eliminare la bambina per aprire l’unico possibile varco nel guscio impenetrabile che è il cuore del vigilante, allo scopo di provocargli una sofferenza dell’anima che raddoppi quella fisica. Perché non sopporta di essere stato battuto.

La grandiosità dell’affresco ordito da Ennis sta nella sua capacità di ribaltare questa dicotomia nel segno di una impossibile affinità tra i due personaggi: che è tale non solo per l’abilità fisica e la propensione alla violenza che i due sfoggiano, quanto per il fatto che entrambi condividono un conflittuale rapporto verso il concetto di paternità, sebbene di segno opposto (rimpianto da Castle e odiato da Barracuda), per ragioni sepolte nella loro memoria. La lunga e fredda notte diventa così allo stesso tempo il capitolo che lascia esplodere le motivazioni reali dei due nemici e che, attraverso uno scontro che segna l’apoteosi grafica della violenza, diventa anche un duello fra due differenti concezioni della sofferenza per interposta paternità. Che avrà come unica conseguenza quella di ribadire una volta per tutti la tragedia costante di un universo umano privo di punti di riferimento e affidato soltanto alla spinta distruttiva dei singoli, dove non esiste possibilità di redenzione.

La scrittura di Ennis si mostra in questo senso empatica, precisa nella scansione delle vignette (che quasi sempre dividono la tavola in senso orizzontale) e nell’andirivieni di passato e presente, di tragedia in atto e memoria delle felicità possibili o delle sofferenze attraversate. Momenti indagate attraverso didascalie puntuali, quasi spietate per come analizzano ogni momento non lasciando scampo alcuno alla psiche ormai esposta dei personaggi. A supporto intervengono i disegni di Howard Chaykin (in azione nel primo capitolo ed efficaci soprattutto nel dipingere il fardello di vita nelle rughe del protagonista) e quelli del veterano Goran Parlov (già in Barracuda e nello spin-off dedicato al killer, Punisher presenta Barracuda: Il ritorno), colossali, impressionisti e che non a caso conferiscono potente forza visionaria al sanguinoso scontro fra i due giganti. Un capolavoro.

Punisher MAX 11: La lunga e fredda notte
(The Punisher Max vol. 9: Long Cold Dark)
Scritto da: Garth Ennis
Disegni: Goran Parlov, Howard Chaykin
Pubblicato da Marvel Italia/Panini Comics
136 pagine
2007

Editoriale Panini sulla gestione Ennis
Garth Ennis su La lunga e fredda notte (in inglese)
The Punisher Archives (in inglese)

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