"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 12 gennaio 2011

Hereafter

Hereafter

Tre storie: Marie è una giornalista francese in vacanza nel sud-est asiatico, quando viene investita in pieno dall’onda anomala che devasta le coste della regione. Apparentemente morta, riesce a tornare in vita, ma l’esperienza la segna al punto da spingerla a indagare sull’aldilà.
George è un operaio americano, il suo carattere è molto chiuso a causa del suo misterioso potere, che gli permette, con un semplice contatto, di percepire le forze ultraterrene che gravitano intorno a ogni essere vivente, i parenti scomparsi e le dolorose esperienze sepolte nel passato di ognuno. Un dono per molti, una maledizione per lui, dal quale il ragazzo tenta ora di affrancarsi nonostante le resistenze del fratello, che vede nell’occasione una grossa opportunità commerciale.
Marcus è un bambino inglese, legatissimo al fratello gemello, che però muore in un incidente stradale. Strappato alla madre dai servizi sociali e affidato a una nuova famiglia, Marcus tenta unicamente di trovare un modo per entrare in contatto con il fratello scomparso.
Tre destini, tre esistenze completamente diverse, ma destinate a intrecciarsi.

E’ un film di forze latenti che agiscono (e favoriscono) un contesto di prospettive opposte, questo Hereafter: come quando si evidenzia qualcosa per lasciar filtrare invece altro, si parte da un presupposto per determinare conseguenze inaspettate e diverse da quelle attese. E’ un film che parla della morte o della vita? Sostanzialmente di vite gravate dal peso della morte, ma al contempo liberate dalla stessa attraverso un percorso di condivisione di esperienze e destini.

Tema quest’ultimo fortemente eastwoodiano, sebbene la matrice del racconto e l’interesse per il tema “ultraterreno” vada equamente condiviso con la squadra produttiva di Spielberg/Kennedy/Marshall, ovvero le personalità che in passato hanno realizzato e/o prodotto un film come Always, affine a Hereafter per il suo essere tassello di un medesimo percorso, ma allo stesso tempo di una distanza: lì, infatti, la condivisione morte/vita era un pretesto per parlare della presenza nel reale dell’elemento “fantasmatico”. Qui, la direttrice è puramente vitalistica, umana, sono drammi di persone reali non (ancora) fantasmi, ma che si agitano in una zona di confine dove la carne può entrare in contatto con l’anima e lo spirito riesce ad avere fuggevoli visioni dell’altrove/aldilà.

Proprio questi intervalli, questi punti di contatto che il film naturalmente determina, giungendo a costruire un percorso a tappe lungo esistenze fra loro diverse, ma destinate a confluire, costituisce uno dei maggiori punti di forza della storia. Sicuramente risaltano innanzitutto le toccanti vicende personali che la pellicola offre agli spettatori e svariate sequenze emozionanti nella loro semplicità: basti pensare alla lacrima che, improvvisa, arriva a scompaginare il viso altrimenti ordinato di Melanie (Bryce Dallas Howard), donna apparentemente forte e sicura di sé e cui istantaneamente crolla invece ogni certezza lasciando spazio a una umanissima fragilità. Eppure ciò che più interessa e colpisce è la capacità di tracciare quel confine e di rovesciare tutto, determinando traiettorie altre.

In quest’ottica appare sorprendente ma non impossibile (conoscendo la lucidità dello sguardo eastwoodiano) notare come la famiglia, che per Marcus è l’elemento totalizzante, diventi invece una forza disgregante per George, vessato dalle mire economiche del fratello ai suoi danni; allo stesso modo la carriera che Marie tenta di inseguire ed eventualmente di piegare ai suoi interessi è l’altro fardello che lo stesso George vuole scrollarsi di dosso, respingendo i clienti e scappando quando Marcus lo riconosce per aver visto la sua immagine in un sito internet. Eastwood non cade però nell’errore del facile gioco di sceneggiatura e questi rovesciamenti di prospettive non sono propedeutici a una qualsivoglia sorpresa, un twist narrativo di quelli tanto in voga al momento. Al contrario, servono principalmente per evidenziare la mutevolezza dei riferimenti, in contrasto con l’apparente concretezza del mondo reale, dove quindi gli unici punti fermi che, pur nella loro fissità, risultano assolutamente imprendibili e non definibili, restano la vita e la morte.

Il tentativo di definire questi due estremi dunque determina il paradosso di una conoscenza che può avvenire in modo né razionale né emotivo, ma soltanto attraverso l’esperienza della condivisione di un percorso comune: e qui si torna ancora una volta a Gran Torino e Invictus, al gesto fisico come tramite per la conoscenza dell’universo altrui. Che se nel caso di George risulta più evidente (il toccare un oggetto del defunto per entrarci in contatto), è meno lampante, ma più forte, nei momenti in cui la condivisione è un fattore del tutto umano. La lettura di un libro come tramite per la conoscenza di due persone fra loro diverse e distanti; oppure ancora l’assaggio del cibo come momento deputato a rompere gli indugi e favorire un’amicizia che potrebbe forse fornire nuove traiettorie alla vita. L’equilibrio è delicato e precario, perché quello stesso gesto che marca la fine di una distanza (la stretta di mano fra George e Marie) può essere invece anche la causa di una brusca separazione (ancora George e Melanie) ed è perciò trattato nel rispetto dei personaggi, tanto da porre in second’ordine alcune ingenuità ed eccessi del testo. Sfrondato dagli stessi, Hereafter è ancora una volta un film sincero e attento a valorizzare gli elementi singoli nella prospettiva fornita dal più grande disegno generale.

Hereafter
(id.)
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Peter Morgan
Origine: Usa, 2010
Durata: 129’

1 commento:

Anonimo ha detto...

Dopo la delusione di Invictus, nonostante quello che ho letto in giro, spero davvero di rimanere soddisfatta.

Ale55andra