"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 11 maggio 2011

Young Girls in Black

Young Girls in Black

Noemi e Priscilla sono due adolescenti inquiete, legate da un'amicizia tanto profonda quanto problematica agli occhi del mondo. Una ha già tentato il suicidio, l'altra sembra trascinare la propria esistenza in cerca di un punto di riferimento. Noemi è in apparenza la parte “forte” del duo, quella che sembra guidare le loro decisioni e che vede nel suicidio di entrambe l'unica via di fuga da una realtà che non vuole accettare. Ma la prima a commettere il gesto sarà Pris, lasciando Noemi in preda ai dubbi e al dolore...


Per annunciare la sua decisione di suicidio congiunto con l'amica Pris, Noemi utilizza una lezione di letteratura e invoca il nume tutelare di Heinrich von Kleist, che nel 1810 si tolse la vita insieme alla compagna Henriette Vogel, in segno di protesta a una vita che non riconosceva più come degna di essere vissuta (la donna infatti era malata di tumore). E quando poi Pris compie il folle gesto lasciandola sola, Noemi sembra trovare nella musica una valvola di sfogo, recuperando finalmente quella passionalità nel suono del flauto traverso che prima la sua insegnante di musica le imputava di non assecondare fino in fondo. Nel pieno di una tragedia annunciata, quale è quella raccontata dal film, l'arte si pone dunque come strumento che riempie i vuoti della vita, ma anche come elemento in grado di interpretare la stessa, di annunciare le sue svolte e i possibili intenti.

E' questa la principale grandezza di un cinema francese che guarda alla realtà filtrandola attraverso uno sguardo più alto, che è perciò capace di raccontare il disagio e la diffidenza verso il mondo tipici di un'età difficile come l'adolescenza, trasformando questi sentimenti astratti in un linguaggio filmico potente. Ancora una volta viene da chiedersi perché siano solo i francesi a osare tanto, a credere nella forza di un cinema capace di affrontare argomenti spinosi e complessi, con quell'ambizione e quel rispetto per il linguaggio delle immagini e i personaggi che da noi sembrano così distanti e inafferrabili.

La partecipazione emotiva che si avverte durante la visione di Des filles en noir è pertanto forte: è quella di un regista, Jean Paul Civeyrac, che asseconda i dubbi delle sue protagoniste, allontanando il mondo di fuori, e concentrando tutta la narrazione sui piccoli gesti, le espressioni, i volti, il sentire delle sue attrici, la cui bellezza si oppone con forza al disegno distruttivo ordito dalle loro anime. E' un cinema che lavora sugli sguardi: tagliente quello di Noemi e più apatico quello di Pris, in opposizione pure a un modo di porsi che è ben codificato. Delle due, infatti, Noemi appare quella più benestante, fiera nel portamento, coraggiosa nel porsi come elemento dissonante rispetto a una madre alla quale non rimprovera nulla, ma cui si oppone, nella sua ricerca di un elemento di equilibrio assoluto che non può esistere. Al contrario Pris è ribelle soltanto nel modo di vestire, nel suo nero dalle connotazioni punk/gothic che però non trova un corrispettivo nelle sue azioni: la vediamo infatti cercare la compagnia di un ragazzo che però le sfugge, vivere con una sorella che preferisce lasciarla a casa da sola per trascorrere un weekend romantico con il compagno. E' un'anima in cerca d'amore, che non disdegna una connessione con il mondo e che non a caso è anche l'unica delle due a subire un'avance violenta da parte di un uomo che scambia la sua ricerca d'empatia per allusione sessuale.

Il suicidio di Noemi è perciò intinto in una ribellione filosofica, quello di Pris scava nella solitudine interiore e perciò sarà lei a compiere il gesto, peraltro in un momento che è sì collettivo, ma in realtà isolato, perché le due ragazze sono lontane e comunicano solo attraverso il telefono cellulare, rimarcando quella cifra di perenne vicinanza/lontananza da un mondo dove è la tecnologia a supplire alla mancanza fisica. Ma è un supplire puramente illusorio, che non appaga quella condivisione fisica che pure Pris cerca sempre, accarezzando le persone (o gli animali) che ama, quel gesto reale che diventa punto di contatto. Ecco perché alla fine di fronte al gesto estremo le due ragazze sono sole e non compiono un atto comune, ma al contrario si pongono ciascuna di fronte alla scelta in modo singolo e agiscono in maniera diretta. Pris si abbandona, come ha sempre fatto, Noemi resiste.

La connessione che resta fra le due anime è dunque puramente ideale, e non a caso subentra in questa fase l'elemento onirico, con Noemi che “vede” l'amica nei sogni, nei momenti in cui appare più incapace di opporre una resistenza concettuale alla strada che pure si era tracciata. Queste digressioni, in realtà, altro non fanno che sottolineare una componente sempre presente nel racconto, che arricchisce la struttura narrativa di una forza eterea, sospesa, capace perciò di sottolineare tanto lo stato di alterità delle ragazze rispetto al mondo, quando l'unicità del loro mondo privato, in cui si rifugiano nell'ostinato rifiuto della vita.

E' un ulteriore motivo di fascino per questa pellicola di grande forza emotiva, nonostante un andamento lento e un approccio che nella sua empatia verso i personaggi, si carica volutamente di una dose di ambiguità capace di restituire quel particolare sentire di un'età in cui i sentimenti sono più forti e la tensione è sempre all'assoluto.



Des filles en noir/Young Girls in Black
Regia e sceneggiatura: Jean Paul Civeyrac
Origine: Francia, 2010
Durata: 85'

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