"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 21 settembre 2011

Carnage

Carnage

New York. Penelope e Michael Longstreet invitano nel loro appartamento Nancy e Alan Cowan per confrontarsi su quanto accaduto ai rispettivi figli: il giovane Cowan ha infatti colpito il piccolo Longstreet con un ramo d'albero, procurandogli delle lesioni al volto. Il confronto, inizialmente civile, diviene lentamente più serrato fino a sfociare in una guerra delle parti, che rompe e ricompatta i fronti, dando ben presto vita a un tutti contro tutti.


Un gioco al massacro, perfetto, implacabile, oltremodo chirurgico, nel quale i personaggi sono trattati alla stregua di topi da laboratorio. La cosa in sé non ci coglie peraltro impreparati, sia perché alla base c'è un noto testo teatrale, sia perché le coordinate del cinema di Polanski da sempre oscillano fra il dramma e quella tendenza a irridere il soggetto che si mette in scena, tipica di un autore con il gusto del paradosso.

Ciò che invece colpisce è la lucida delegittimazione del dialogo che dà vita a una struttura involutiva capace non già di risolvere il contenzioso in atto fra i personaggi, ma di esaltare lo stesso, rinchiudendo i quattro ancor più nel loro reciproco isolamento. Con sagacia, la dicotomia fra le famiglie si sfalda facilmente per dare vita a un meccanismo dove i fronti si mescolano, nascono improvvise alleanze e simpatie fra i due uomini, dove Alan Cowan non difende il figlio ma anzi ne esalta la natura di teppista e l'armonia apparente dei Longstreet evidenzia tutte le sue crepe. L'incontro di tesi contrapposte, insomma, non fornisce soluzioni al dramma, ma anzi lo alimenta e sottolinea lo spazio incolmabile fra i contendenti.

Da questo versante è assolutamente gustoso notare come, in sostanza, Polanski metta in scena un meccanismo tipico dei dibattiti televisivi: il suo scopo è cioè conferire centralità a personaggi che non sono i reali protagonisti della vicenda, ma delle figure vicarie che pure si scontrano in una situazione di assoluto distacco dal reale, e pretendono di poter decifrare quanto accaduto meglio dei due autentici artefici della situazione. Lo scontro fra i ragazzi è dunque accennato soltanto nei titoli di testa per poi lasciare spazio a un effettivo “fuori-onda” che pretende di essere il vero momento qualificante della vicenda, sintomo della confusione linguistica e di contenuto dell'epoca attuale: non sono dunque i due giovani a confrontarsi nel merito di quanto successo, ma due coppie di genitori che dimostrano praticamente di non avere mai stabilito nessun legame tangibile con i propri figli. E qui naturalmente si torna a un concetto puramente polanskiano come quello della famiglia in quanto nucleo non coeso ma basato sulla mera coabitazione e sopraffazione reciproca, che aveva già reso grandi titoli come Rosemary's Baby o Luna di fiele.

Rispetto a quei film, però, Carnage è volutamente distante dai personaggi, che considera visibilmente come degli intrusi da osservare nella loro bislacca pretesa di poter leggere il mondo, pur risultando impermeabili allo stesso. E' infatti interessante notare come, pur vomitandosi (letteralmente e praticamente) addosso le peggiori accuse, i quattro restino sostanzialmente indifferenti alle stesse e anzi fieri dei reciproci ruoli. Ciò che realmente li destabilizza è il danno inferto a quegli oggetti che ne legittimano lo status, come il telefono cellulare per Alan, i libri d'arte per Penelope o la borsetta per Nancy. Non a caso i personaggi evitano quasi del tutto anche lo scontro fisico, accanendosi proprio contro gli oggetti, come accade ad esempio con i tulipani. Tali feticci rappresentano infatti le pietre angolari di un mondo che è tutto lì, al chiuso di una situazione ovattata dove le terze parti sono assenti o veicolate attraverso forme di intermediazione capaci comunque di preservare la distanza (principalmente le telefonate).

In virtù di questa struttura, trova una sua ragione d'essere anche l'esuberanza del parlato che affligge la narrazione (ascrivibile peraltro all'origine teatrale), con dialoghi a tratti didascalici, che però altro non fanno che esaltare proprio l'inutilità della parola in quanto forma fallimentare di comunicazione in un mondo ormai non più predisposto al confronto.

L'autentico colpo di genio sta dunque tutto nell'inquadratura finale che – in forma non a caso squisitamente muta e priva di dialogo – reimmette lo spettatore nel mondo mostrandoci la riconciliazione dei figli, avvenuta nella piena normalità dello scorrere degli eventi, mentre i genitori hanno ormai consumato il loro dramma al chiuso delle pareti domestiche. Al grande regista basta una sola immagine per svelare l'inganno di un confronto fallimentare in partenza e aprire nuovamente lo sguardo alla vita.


Carnage
(id.)
Regia: Roman Polanski
Sceneggiatura: Yasmina Reza e Roman Polanski (dalla pièce Il dio del massacro, di Yasmina Reza)
Origine: Francia/Germania/Polonia, 2011
Durata: 75'

1 commento:

Anonimo ha detto...

Finale per me molto ironico e beffardo. Film riuscitissimo, non solo per quello che dici giustamente, ma anche per la messa in scena e per l'abilità davvero straordinaria dei quattro attori protagonisti.

Ale55andra