"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 21 ottobre 2011

Arrietty

Arrietty

Alla periferia di Tokyo, sotto una grande casa immersa nel verde, vive Arrietty, una “Prendimprestito”: è alta circa 10 centimetri e con il padre e la madre trascorre le sue giornate nella loro abitazione dalla quale escono soltanto per “prendere in prestito” il necessario per vivere, senza palesare mai la propria presenza agli umani. Arrietty però si trova ormai nell'età in cui può avventurarsi all'esterno per le sue prime prese in prestito e in questo modo si imbatte in Sho, un giovane malato che si è trasferito nella grande casa per trascorrere in tranquillità i giorni che precedono l'operazione al cuore. Essendo stati scoperti, i Prendimprestito devono abbandonare il loro rifugio, ma il legame che si va formando fra Arrietty e Sho diventa sempre più intenso, tanto che il ragazzo difenderà l'amica dagli altri adulti, aiutandola a fuggire.


Ultima fatica dello Studio Ghibli, Arrietty è un film costruito su due dimensioni contrapposte: da un lato il mondo “piccolo” dei Prendimprestito, dall'altro quello “grande” degli umani. Due sono di conseguenza anche le velocità del film: i piccoli personaggi si muovono infatti con agilità negli spazi enormi della casa, scivolano sulle pareti e si arrampicano fra i fili d'erba come quei roditori e quegli insetti che pure devono evitare lungo i loro percorsi; al contrario, gli umani sono lenti, il loro corpo diventa una gigantesca massa uniforme che si muove in modo magmatico, e che a tratti sembra rimandare alla tradizione tipicamente giapponese del “gigantismo”, che molti spettatori hanno iniziato a conoscere attraverso filoni come quello dei grandi robot: i passi producono scossoni, gli arti si muovono pesanti, e persino il cuore è costretto dalla malattia rendendo perciò il movimento faticoso, tanto da connotare il pur giovane Sho come personaggio statico, in perfetta contrapposizione alla vitalità incontrollabile di Arrietty.

E ancora due sono le articolazioni degli spazi lungo i quali si dipana la vicenda: la realtà dei Prendimprestito è quella di una minuscola casa nascosta nel terreno sotto quella degli uomini, grande al più come una cassa di frutta o una dimora di bambole; eppure quale e quanta ricchezza di dettagli connotano ogni angolo, frutto di una capacità di economizzare il rapporto con lo spazio, ma anche di vivere lo stesso esclusivamente se riempito di elementi in grado di realizzare la vita in un continuo e proficuo rapporto con le cose. Il film si bea letteralmente del piacere del dettaglio, dalle spighe di grano sparse nella stanza in senso ornamentale, agli attrezzi da cucina, agli oggetti del mondo “grande” che diventano riserve di cibo di lungo periodo. Una “geografia domestica” che, si badi, è cosa ben diversa dal lezioso esercizio di replica del grande nel piccolo, tipico della vera casa di bambole, che non a caso i Prendimprestito non riconoscono come propria, nonostante sia stata costruita per loro.

Al contrario, anche in questo caso, il mondo degli adulti appare vuoto nella sua enormità, quasi che solo nel molto piccolo si possa trovare la chiave di un rapporto con lo spazio che gli umani invece disperdono in ambienti che ci appaiono sconfinati e spogli. Ecco dunque che Arrietty e familiari compiono un'autentica reinvenzione dello spazio, ponendo lo spettatore nella condizione di ripensare e riscoprire, attraverso una diversa prospettiva, quegli elementi del mondo umano che sembravano così familiari. Scale fatte di chiodi, nodi del legno che forniscono appigli per le corde da scalata, fazzoletti che assumono il valore di sipari dietro cui nascondersi: tutto è orientato al piacere della riscoperta della visione, in un esercizio che palesa la sua natura teorica quando Arrietty diventa soltanto una sagoma dietro un drappo o un vetro, un'ombra che rimanda agli artifici originari della visione, al cosiddetto pre-cinema.

Ma doppio è anche il tono che il racconto persegue, perché questa tensione alla scoperta, che connota perfettamente il personaggio di Arrietty, è molto distante da quel piacere quasi fanciullesco dell'agire che anima invece le opere del mentore Hayao Miyazaki. Il sense of wonder è certamente presente e stimolato dai caratteristici tratti morbidi e dalle tinte calde tipiche della factory ghibliana, ma è comunque mitigato da un sentire più guardingo e non privo di una certa cifra inquieta e malinconica, che se non arriva agli eccessi problematici dei Racconti di Terramare di Goro Miyazaki, comunque testimonia di una cifra stilistica precisa e particolare da parte del nuovo regista Hiromasa Yonebayashi. Sembra quasi che il regista sposi non tanto il punto di vista goloso e gioioso di Arrietty, quanto quello dei genitori, la loro perenne sfiducia in una possibilità di convivenza con gli umani, che rende ogni esplorazione nel mondo di fuori non una grande avventura, ma un viaggio pieno di pericoli dove è possibile cadere, essere attaccati dai topi, e dove prendere in prestito è un'operazione rischiosa e passibile di fallimento.

In ragione di ciò, il rapporto che si viene a instaurare – in modo peraltro non preordinato e quasi “istintivo” - fra Arrietty e Sho diventa la metafora di un possibile percorso alternativo che leghi due specie altrimenti destinate a non potersi incontrare mai, e senza che si metta in dubbio la difficoltà e l'inopportunità di una possibile convivenza, come prova il tentativo della governante umana di rapire i Prendimprestito e di nuocere alla loro specie. Il rapporto fra i due protagonisti, pertanto, è tarato su un'empatia crescente ma discreta, basata più sul non detto e sulle possibilità che sulle certezze: anche per questo, la relazione impossibile fra i due è tutta costruita sull'avverarsi di una separazione, sull'aiuto che l'umano fornisce alla sua piccola amica perché possa abbandonarlo e fuggire. Il finale, in questo senso, è tanto malinconico quanto connotato di una possibile speranza, e lascia allo spettatore il piacere di trarre le proprie conclusioni.


Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento
(Karigurashi no Arrietty)
Regia: Hiromasa Yonebayashi
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki e Keiko Niwa, ispirata al ciclo letterario Gli Sgraffignoli, di Mary Norton
Origine: Giappone, 2010
Durata: 94'

1 commento:

Il Bollalmanacco di cinema ha detto...

Ho trovato questo film malinconico e struggente, più di molte altre opere dello studio Ghibli.
sarà che fondamentalmente sono pessimista, ma nel finale ho visto poca speranza, molta nostalgia e una punta di rassegnazione.
Un piccolo gioiello, comunque, che spero di poter trovare, un giorno, in DVD.