"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

mercoledì 1 agosto 2012

The Adventures of Barry McKenzie

The Adventures of Barry McKenzie

Barry “Bazza” McKenzie riceve in eredità dallo zio appena scomparso una cospicua somma di denaro. Perché possa fruirne, però, deve rispettare una condizione: trascorrere un periodo nella Vecchia Inghilterra, sulle orme del “glorioso” lignaggio dei McKenzie. Un'occasione che vale oro per lui che non ha mai abbandonato la patria australiana: non che Barry abbia mai voluto farlo, beninteso, tanto che la vita londinese inizia ad andargli stretta fin da subito. Le molte avventure e occasioni di scontro con i rigidi cerimoniali degli inglesi mal si conciliano infatti con i suoi modi semplici, e le migliori occasioni arrivano ancora una volta dalle bevute con i connazionali. Reclutato per recitare in spot televisivi, partecipare a dibattiti, o per onorare contratti discografici, Barry affronta ogni situazione con ingenuo candore e modi “scorretti” che portano immancabilmente tutto a degenerare nel caos.


Se l'horror crea i cult-movie e l'action i blockbuster, la commedia è senza dubbio il genere deputato a plasmare i fenomeni. Non stupisce pertanto che la prima, vera, grande icona dell'Ozploitation sia quella di Barry McKenzie: il suo arrivo sul grande schermo si pone a metà strada fra la “promozione” di un fenomeno preesistente (pensiamo ai comici attuali, che “nascono” sulla ribalta televisiva e poi diventano campioni d'incassi al botteghino) e il cinefumetto. Barry McKenzie nasce infatti come protagonista di una striscia umoristica creata dal comico, attore e sceneggiatore Barry Humphries, pare con l'ausilio dell'autore satirico John Cook (entrambi recitano nel film, l'uno nei triplici panni di zia Edna, un hippy e del dr. DeLamphrey, l'altro del regista televisivo Dominic). La pellicola che ne scaturisce rivendica quindi con forza l'identità profondamente australiana del format e segue in questo senso le direttive della nascente industria cinematografica “aussie”.

Facciamo un passo indietro: nel 1969 il governo inizia un piano di investimenti per permettere alla scena filmica australiana di diventare un'autentica industria e questo porta, l'anno dopo, alla creazione dell'Australian Film Development Corporation. Contestualmente, le maglie della censura si allargano e viene introdotta la classificazione “R” (vietato ai minori) che lascia mano libera ai registi e all'introduzione di temi che oggi chiameremmo “politicamente scorretti”. Non è tutto: in questa prima fase, infatti, non si pensa alla possibile esportabilità dei prodotti e, quindi, le pellicole hanno ancora un carattere fortemente nazionale: Barry McKenzie è la figura che si pone al crocevia di tutte queste istanze. E' una pellicola marcatamente australiana, sostenuta da fondi pubblici, fortemente “di cassetta” e si avvantaggia delle libertà concesse dalla censura mostrando un protagonista beone e sboccato, che si muove come una piccola forza distruttiva, vomitando (letteralmente!) su chi non gli va a genio ed è affiancato da compatrioti non meno sui generis, bravi a cercare la baldoria e capaci di estinguere gli incendi urinandoci sopra (d'altra parte, con tutta quella birra in corpo...).

Il film diventa, così, il primo “Oz” a superare il milione di dollari d'incasso nella storia australiana, e legittima il genere dell'”Ocker Comedy”, dove “Ocker” sta per il classico stereotipo dell'australiano rozzo e privo di cultura: una figura che allo stesso tempo fa satira sui costumi della propria terra e prende in giro (fingendo di ossequiarlo) il ritratto imperante all'estero, dove l'Oceania è considerata la periferia dell'impero - quello britannico ovviamente. Barry McKenzie non è il primo “eroe” del genere (il primato spetta infatti a Stork, dell'anno prima), ma è quello più rappresentativo e che - con i dovuti distinguo - fornisce anche la matrice per personaggi a noi più noti, come il Crocodile Dundee interpretato da Paul Hogan. Dove il modello si distingue dagli epigoni è per il carattere assolutamente non compromissorio delle sue storie. Possiamo infatti affermare che Barry è Dundee se l'avessero inventato i Monthy Python: il creatore Barry Humphries convoglia nella sceneggiatura tutta la forza dissacrante del tipico umorismo sovversivo dell'epoca, che rompe gli schemi, e si offre attraverso giochi visivi e lessicali all'insegna delle esagerazioni e del nonsense, utili a tenere insieme la struttura alquanto episodica dell'intera storia. Che poi il tutto peschi abbondantemente dalla scena underground e dagli umori della contestazione coeva è esplicitato in modo abbastanza chiaro dalla scena del “concerto” che vede Barry conquistare una platea di hippy (contro cui il film pure non manca di assestare qualche gustosa stoccata).

Oggi, in verità, assuefatti come siamo al “gusto del cattivo gusto”, la portata rivoluzionaria dell'operazione risulta più mitigata, e i giochi verbali risultano di difficile comprensione, a meno di non conoscere bene - oltre alla società dell'epoca - lo slang australiano, che il film contrappone con efficacia a quello inglese attraverso il felice escamotage narrativo dello “straniero in terra straniera” (e del colono nella madrepatria). Colpiscono più le gag visive, come il leitmotiv della birra che sgorga a fiumi dalle lattine ricoprendo gli imperturbabili bevitori, ma ugualmente si riesce ad apprezzare anche il ritratto impietoso che gli autori dedicano al gioco degli stereotipi: Barry è infatti tanto rozzo e volgare da costituire l'esca perfetta per il pubblico incline a lasciarsi ingannare dai cliché; ma, ancora più significativo è il fatto che la realtà inglese dipinta dal film è piena di uomini avidi, repressi, forti una di presunta superiorità che li porta a tentare di sfruttare il “fenomeno” straniero come se fosse un'attrazione da circo, salvo poi pagarne le conseguenze attraverso la carica satirica e distruttiva che il protagonista veicola con estrema naturalezza (attirandosi, inevitabilmente, le simpatie dello spettatore).

Con il senno di poi, appare inoltre dirompente il fatto che a dirigere un film di questo tipo ci sia nientemeno che Bruce Beresford, oggi conosciuto come autore “serio”, nonché vincitore dell'Oscar 1990 per il paludato A spasso con Daisy (e che infatti ha poi rinnegato questi suoi trascorsi). La sua regia scolastica si dimostra raramente capace di andare al di là del semplice mettere in scena le varie gag e rende l'incedere della storia macchinoso e troppo lungo. Va comunque citata la bizzarra sequenza onirica in cui Barry viene aggredito dai nativi, resta senza birra e diventa uno scheletro! Non siamo insomma di fronte a un caso come quello che ha visto John Belushi trovare in John Landis un autore capace di veicolarne la carica eversiva. Per certi aspetti, però, questo rende ancora più significativo il lavoro di scrittura di Humphries e l'interpretazione di Barry Crocker (che è anche un bravo cantante), autentica architrave della pellicola.

Il carattere fortemente autoctono dell'operazione ha immancabilmente fatto sì che il film restasse inedito in Italia. Anche in questo caso bisogna quindi ricorrere all'import e mai come stavolta la mancanza dei sottotitoli può costituire un handicap capace di scoraggiare più d'uno spettatore.


The Adventures of Barry McKenzie
Regia: Bruce Beresford
Sceneggiatura: Bruce Beresford, Barry Humphries
Origine: Australia, 1972
Durata: 108'

Nessun commento: