"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 10 agosto 2012

The Naked Bunyip

The Naked Bunyip

Un ricercatore timido e impacciato viene incaricato dalla sua società di compiere un'indagine sul sesso nella società australiana contemporanea. Non sapendo bene come destreggiarsi di fronte a un tema così complesso, l'uomo passa in rassegna gente comune, luoghi di divertimento, ma anche ragazze madri, coppie omosessuali, artisti del nudo, pubblicitari, raccogliendo informazioni eterogenee che descrivono il complesso quadro di una società in trasformazione.


Se vogliamo tracciare un punto d'origine dell'Ozploitation classica, The Naked Bunyip è il film da cui partire, sia perché è una delle primissime pellicole a essere prodotte dopo quel 1969 che segna il cambio di passo per l'industria cinematografica australiana, sia per il fondamentale scossone produttivo e artistico assestato a un mercato sonnolento e vessato dalla censura (che all'epoca pare fosse la più repressiva del mondo occidentale). Il film è sostanzialmente apparentabile alla formula del mondo-movie che negli stessi anni tiene banco in altre nazioni (l'Italia in primis) e che sfrutta la presunta indagine sociologica come pretesto per mostrare immagini shock in nome del sensazionalismo più sfrenato. Nel caso specifico, però, il taglio ha poco del sexploitation vero e propri e risulta decisamente onesto nei confronti della materia trattata, tanto da rivelarsi estremamente veritiero ed empatico quando racconta le difficoltà delle ragazze madri o i pensieri della coppia di donne omosessuali. Al contempo, però, non manca di ribadire continuamente il senso della messinscena, evocando in più passaggi il palcoscenico, la rappresentazione pubblicitaria o il mercato del sesso “soft” delle riviste per soli uomini: l'intento è chiaramente quello di mostrare come l'indagine alla base della “storia” non inventi nulla che non sia già presente in una società che è già più avanti della censura, i cui mutamenti aspettano di essere registrati, e che è pure a suo agio con il sesso inteso come tema squisitamente merceologico e artistico.

Siamo perciò di fronte a un'operazione teorica arguta, ma anche a un precursore di un sentire che, da sociale, sta già diventando puramente cinematografico: non a caso il film è spesso considerato pure l'apripista della Ocker Comedy, principalmente per alcune scelte di casting. Il protagonista è infatti Graeme Blundell, che darà poi vita al dittico di Alvin Purple (autentico “eroe” della commedia scollacciata australiana) e che qui è stato scelto dal regista John B. Murray per una sua qualità à la Buster Keaton: in effetti, con il suo volto imperturbabile, Blundell costruisce un protagonista tenero nella sua timidezza, spesso usato come grimaldello per scardinare alcune potenziali seriosità di un testo che vuole informare, ma anche divertire. A suggello di questa struttura a metà fra intrattenimento e indagine seria c'è anche la comparsa di Barry Humphries, già nei panni della zia Edna Everage, personaggio che in effetti ha una vita abbastanza autonoma dai film di Barry McKenzie.

L'idea di portare a galla un fermento nascosto e un immaginario già fortemente riconoscibile, si può dunque riflettere nel tentativo stesso di creare un prodotto filmico con una profonda specificità australiana, che funga da incentivo per un'industria ancora inesistente. Murray è aiutato nella sua impresa dal produttore Philip Adams, figura di spicco degli ambienti intellettuali australiani e, a quanto pare, autentico artefice dell'operazione: i due, inizialmente, pensano a un documentario sul football, salvo poi decidere di puntare su un argomento più audace, attraverso l'auto distribuzione. Alle spalle c'è infatti il precedente di 2000 Weeks, film indipendente di Tim Burstall (guarda caso il futuro regista di Alvin Purple) che, in maniera del tutto autonoma e con una distribuzione letteralmente “porta a porta”, ha dato vita a un successo. Lo scontro con la censura, naturalmente, non è indolore: la classificazione “R” (e il conseguente allargamento dei controlli) arriverà infatti solo un anno dopo l'uscita del film (e, anzi, si può chiaramente pensare che sia la pellicola stessa ad accelerare il processo), ragion per cui regista e produttore sono esattamente consapevoli di rompere un tabù.

Il risultato dei compromessi con l'ente di controllo è l'inserimento di un “Bunyip nudo”, a coprire le sequenze più “forti”: per chi non lo sapesse, il bunyip è una creatura del folklore australiano, tipica della mitologia aborigena, che nella stilizzazione prescelta dagli autori ha la forma di un bislacco incrocio fra un coniglio e un canguro. La scelta porta con sé molteplici implicazioni: da un lato, infatti, gli autori evidenziano l'intervento della censura, rimarcando ciò che essa ha voluto forzatamente celare. In ogni sua apparizione, infatti, il disegno del Bunyip riprende esattamente ciò che nel documentario viene oscurato; allo stesso modo, quando la censura è di tipo sonoro (e copre quindi dialoghi considerati “proibiti”), una didascalia spiega ciò che non viene sentito. In questo modo Murray letteralmente sbugiarda l'intervento censorio, denunciandone l'intromissione e la pochezza.

Allo stesso tempo, però, la bizzarra invenzione fa da divertente commento alle immagini e amplifica il confronto fra messinscena e verità alla base dell'intera operazione, diventando autentica invenzione stilistica: non a caso, Philip Adams ricorda come ogni apparizione del Bunyip fosse salutata con grande favore dal pubblico, impressionato positivamente dalla trovata e dal modo in cui l'icona rielaborava stilisticamente i fatti narrati.

Sebbene oggi chiaramente datato, The Naked Bunyip rimane quindi un importante documento di una nazione che usciva da un'impasse creativa e produttiva, ed è in grado di regalare momenti teneri alternati ad altri più divertenti. Per gli appassionati di atmosfere anni Settanta, si tratta inoltre di un reperto imperdibile e la title track Let's Make Love di Janet Laurie & Gerald Lester è di quelle che restano impresse a lungo, per come riescono a catturare il complesso sistema di sentimenti che la narrazione evoca.

Come altre pellicole di questo percorso dedicato all'Ozploitation, anche questa è inedita in Italia e reperibile attraverso i canali dell'import. Questo resoconto è basato sulla visione del DVD della Umbrella Entertainment (come sempre non sottotitolato), che presenta, fra gli extra, anche le parti originariamente “coperte” dal Bunyip, utili a capire meglio gli interventi della censura.


The Naked Bunyip
Regia: John B. Murray
Sceneggiatura: John B. Murray, Ray Taylor
Origine: Australia, 1970
Durata: 139'

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