"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

sabato 24 novembre 2012

Torino 30+1

Torino 30+1

Torino, con quell'aria un po' malinconica da noir francese, riesce sempre a sorprenderti, per il fermento che manifesta e per come vive intensamente il “suo” festival, esponendone le insegne in ogni dove: sui marciapiedi, nelle vetrine, nelle biglietterie edificate alla bisogna fra le insenature dei palazzi... una città che sembra essa stessa un'enorme vetrina, che vive mentre si esibisce e che, per questo, sembra aver trovato un perfetto equilibrio fra il porgere il proprio “prodotto” e l'assaporarlo essa stessa per prima. L'apparenza a volte può essere sostanza e a confermarlo arrivano i film, accolti da una mole di pubblico decisamente impressionante, anche superiore al consueto (almeno per ciò che riguarda il primo giorno di proiezioni).
Sono tre le pellicole visionate oggi, tutte incentrate su gesti che cercano di andare al di là del loro valore intrinseco, per creare risonanze o per fornire l'approdo a un percorso umano e professionale. Si parte con il compianto Koji Wakamatsu e il suo 11.25 Jiketsu no Hi, Mishima Yukio no Wakamonotachi (The Day Mishima Chose His Fate), ritratto di Yukio Mishima, il romanziere giapponese che nel 1970 occupò il Ministero della Difesa per convincere le forze armate a seguirlo nella sua crociata nazionalista: il suo intento era infatti spingere la Dieta a emendare la Costituzione per ripristinare lo status “divino” dell'Imperatore (cancellato dopo la disfatta della Seconda Guerra Mondiale). Wakamatsu aderisce alla visione di Mishima, non tanto perché ne condivida necessariamente l'ideologia, quanto perché tenta di restituire il valore della fede in un gesto che sia “sufficiente in sé” e costituisca perciò un fine da perseguire con orgoglio e con la volontà di migliorare il Paese. Ma proprio questa adesione superficiale rende la materia poco densa e non aiuta nemmeno una messinscena piatta e didascalica nella sua verbosità.
All'opposto, dalla Francia, si pone il monsieur Oscar di Holy Motors, con i suoi vari appuntamenti di lavoro che continuano a motivarlo per la “bellezza dei gesti”: possono essere di vario tipo, acrobatici (in una coreografia eseguita per la motion capture), violenti (quando portano all'omicidio) o brutali, quando l'attore (Denis Lavant) torna a interpretare il personaggio di monsieur Merde, già visto in Tokyo! (del 2008), che azzanna e divora tutto ciò che incontra, seminando il panico tra la gente, mentre le sue gesta sono accompagnate dall'inconfondibile colonna sonora di Godzilla, composta da Akira Ifukube. Il viaggio di Monsieur Oscar attraverso Parigi sembra quasi un geniale rovesciamento del Cosmopolis di David Cronenberg: tanto l'autore canadese racchiude tutto il mondo del suo protagonista nell'abitacolo della limousine, tanto Leos Carax spinge invece il suo attore a uscire ogni volta dalla stessa vettura sotto spoglie sempre diverse, vivendo il mondo da prospettive nuove. Un'opera composita, che è un inno alla creatività, ma anche una malinconica elegia della finzione che reifica un mondo dove l'umanità sembra giocarsi le sue ultime chance. Visivamente molto vario e affascinante, il film di Leos Carax era fra i più attesi del festival e non ha deluso le aspettative.
Il gesto forse più concreto è però quello di chi verga la sua scelta sulla scheda referendaria, come accade in NO, di Pablo Larrain, che rievoca il 1988 del voto destinato a far cadere la sanguinaria dittatura cilena di Pinochet. Per farlo, Larrain racconta la storia di René Saveedra, il pubblicitario che ideò la campagna per il NO, incentrata su messaggi positivi che inneggiavano all'allegria, totalmente spiazzanti per la sua stessa fazione, interessata invece a mettere il dito nella piaga dei rastrellamenti e delle repressioni perpetrate dal regime dopo il Colpo di stato del 1973. Il che ci riporta al Mishima di Wakamatsu: tanto quello è rigido e didascalico, tanto l'opera di Larrain è al contrario mimetica (per come simula l'estetica della tv anni Ottanta) e magmatica nei sentimenti contrastanti che mette in campo. Il regista, infatti, non tace nulla, neppure i dubbi che lacerano la fazione del NO e fornisce un ritratto umano che è anche storico, dove l'allegria del messaggio trova un contraltare efficacissimo nell'espressione dolente del protagonista Gael Garcia Bernal.
Tutte e tre le pellicole rientrano nella sezione Torino XXX, dedicata ad alcuni dei registi che il festival ha lanciato e che hanno fatto grande la sua storia, in un gioco di scambi (e di gesti) reciproci molto fecondo: il miglior biglietto da visita per l'edizione 2012 e il più valido bilancio del lavoro svolto finora.

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