"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 30 novembre 2012

Torino 30+7

Torino 30+7

Gli anni Settanta sono stati il miglior decennio del XX secolo e il Torino Film Festival è lì a ribadirlo: un periodo turbolento, magmatico, che già presentava tutti i segni della crisi della modernità, eppure era un fermento continuo di creatività e nuovi furori. Tre film della settima giornata è come se sintetizzassero queste affermazioni attraverso una trattazione a tutto campo dei “favolosi Seventies”.
Si parte con l'ottimo Call Girl, di Mikael Marcimain (in Concorso), che racconta il clima nella Svezia del 1976, divisa fra la lotta per la parità dei sessi (portata avanti dai partiti progressisti) e il giro di prostituzione che arrivava ai livelli più alti dello stato, coinvolgendo proprio i paladini dei diritti civili, smascherati nella loro solenne ipocrisia. Il tutto è raccontato attraverso la vicenda di due minorenni, finite nel meccanismo stritolatore a base di sesso, denaro, cocaina e tentativi delle autorità di insabbiare tutto. Che la nazione nordica avesse i suoi scheletri dell'armadio - in piena opposizione al ritratto edulcorato che si è propagandato per decenni - non è una novità: basterebbe citare i romanzi di Stieg Larsson, riferimento inevitabile anche per la figura del detective solitario che si batte per portare il marcio allo scoperto. La struttura si muove dunque fra una parte più intimista e fortemente empatica nei confronti delle ragazze, e dinamiche più spettacolari e di ampio respiro, che rendono la progressione incalzante (memorabile lo score vagamente carpenteriano) e il finale nichilista ancora più duro da digerire. Da segnalare la performance della sempre magnifica Pernilla August, qui nel ruolo della “matrigna” che tira le fila del mercato del sesso.
Basta poi spostare lo sguardo dall'altra parte dell'Europa per ritrovarci nell'Irlanda del Nord scossa dalle divisioni fra cattolici e protestanti, al limite della guerra civile. In questo scenario, un giovane idealista di nome Terri Hooley apre il suo soprendente negozio di dischi, Good Vibrations, che è anche il titolo del film di Lisa Barros D'Sa e Glenn Leyburn (in Festa Mobile). L'attività, infatti, diventa la culla del movimento punk rock di Belfast, che il film presenta come una valvola di sfogo dalle tensioni sociali dell'epoca e come una iniezione di vitalità e divertimento in un mondo squarciato. Good Vibrations e il piccolo mondo di Terri, infatti, diventano un'oasi in cui le divisioni politiche vengono superate in nome del fermento creativo portato dalla nuova tendenza musicale. I due registi lavorano sulle dinamiche della commedia per restituire il clima di euforia e rischiano la carta dell'eccessiva edulcorazione (sebbene non nascondano mai il difficile scenario sociale). Pur con i distinguo del caso si resta così affascinati dalla vicenda e dallo splendido panorama musicale descritto. Il pubblico accoglie con scroscianti applausi.
Dunque il fermento culturale dei Seventies è acclarato, la disgregazione politica e sociale anche: a completare il quadro ci pensa un classico come La rabbia giovane di Terrence Malick, presentato nella sezione Figli e Amanti (dove è stato scelto da Daniele Vicari e Michele Riondino) e che appare in perfetta continuità con il discorso sin qui seguito. La vicenda dei due ribelli senza causa Kit e Holly mostra infatti già tutti i segni del percorso d'autore di Malick, ma con un forte precipitato politico per come le imprese assassine dei due riflettono i disordini umani, materiali e sociali dei Seventies. Il decennio, in fondo, è tutto qui: nella tenerezza dei due amanti, nel romanticismo di un viaggio che è anche un recupero del rapporto con la natura in opposizione alla città, negli scenari mozzafiato delle Badlands e nella violenza immotivata e senza scampo dei giovani in fuga senza una meta. Un film a suo modo necessario e definitivo.
Si chiude con un progetto del tutto diverso e fuori da ogni possibile collocazione temporale: la sezione Onde ci porta infatti Invisible, di Victor Iriarte, racconto di un film di vampiri che... non esiste. La storia è infatti illustrata attraverso sintetiche didascalie su fondo nero, suoni, frammenti di dialogo e, in parallelo, le prove in sala di registrazione di Maite Arroitajuaregi, intenta a creare la colonna sonora con l'ausilio di incredibili performance vocali e vari strumenti. Dunque allo stesso tempo un'operazione che mette lo spettatore nella condizione di dover immaginare un film letteralmente invisibile, unita al processo creativo dell'unica componente non visiva della pellicola: la banda sonora. Un esperimento pertanto radicale, ma anche immaginifico e poetico, con cui risulta interessante confrontarsi.

Call Girl - trailer
Good Vibrations su Facebook
La rabbia giovane - trailer
Invisible - trailer

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