"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 21 dicembre 2012

Maniac (2012)

Maniac (2012)

Frank Zito è un serial killer: abborda giovani donne, casualmente o dando loro appuntamento via chat, per ucciderle e scotennarle, e con i loro capelli decora i manichini del suo laboratorio. A guidarlo sono i traumi provocati da un rapporto difficile con la madre, ormai defunta, e che si divertiva a provocarlo passando da un amante all'altro, quando non lo puniva. Frank agisce come in preda a un disturbo bipolare della personalità, che si manifesta attraverso forti emicranie. Un giorno, però, alla sua porta bussa Anna, una fotografa affascinata dai manichini esposti nel laboratorio: la ragazza inizia una relazione con lui e lo coinvolge nei suoi successi, ma infine Frank non riuscirà a nascondere la sua vera natura.


Come già si è scritto da queste parti, il nuovo Maniac, più che un semplice remake è un film che rende merito all'idea di re-imagining. Ci riesce perché, nel rimettere in scena la storia di Frank Zito, le fa compiere il doveroso passo in avanti, evolvendo e sviluppando alcune idee presenti in nuce nel prototipo di William Lustig. Gli sceneggiatori Alexandre Aja e Gregory Levasseur, infatti, optano per una struttura più forte rispetto all'originale, complice una dimensione produttiva più solida che permette un maggior lavoro di pianificazione: inoltre, forti del senno del poi, i due - di concerto con il regista Franck Khalfoun - riescono ad affrancare l'operazione dalla semplice ricognizione sui codici dello slasher, per abbracciare in pieno il concept dell'alienazione metropolitana e del disagio del protagonista, qui più evidentemente affetto da un disturbo bipolare della personalità.

Non che manchi la violenza, fortissima anzi nelle scene in cui Frank scotenna le sue vittime, ma stavolta si ha più la sensazione di un bilanciamento fra l'affidarsi alla semplice forza espressiva della rappresentazione della morte e la dimensione interiore del killer. Quest'ultimo aspetto, infatti, sebbene già presente nel prototipo, assume maggiore centralità attraverso le forti emicranie che colgono Frank all'improvviso, quasi a voler costituire un monito nei suoi confronti: all'atto pratico, i dolori gli impediscono quindi di fuggire dal destino di morte che l'uomo si è tracciato, condannandolo alla perenne reiterazione degli omicidi.

Pertanto, la sua continua ricerca di una compagna, non risulta subordinata unicamente al bisogno di soddisfare la propria sete assassina, ma al contrario al desiderio di crearsi una possibilità che gli permetta di spiccare finalmente il volo verso un nuovo futuro. Di qui anche la dialettica visiva che il film chiama in causa con l'uso felice della soggettiva assoluta. Lo spettatore “vede” il mondo dal punto di vista di Frank, ma allo stesso tempo il personaggio riflette la sua doppiezza a volte “uscendo” dalla dimensione in prima persona, come se si “vedesse dall'esterno”. Il regista Frank Calkhoun non scioglie mai la riserva se questi momenti siano subordinati alla semplice logica spettacolare (inquadrare i delitti “dal di fuori” per renderli graficamente più potenti) oppure per sottolineare proprio l'estraneità del Frank “interiore” rispetto a quello esteriore: l'ambiguità è infatti un altro degli aspetti interessanti dell'operazione, e trova il suo punto di forza nell'aspetto rassicurante di Elijah Wood, qui preferito alla prepotente fisicità di un Joe Spinell.

Ci sono alcune concessioni al marketing e al fandom: gli eccessivi rispecchiamenti su superfici riflettenti per inquadrare il volto di Wood, o la scena in cui lo vediamo dal collo in giù con i capelli della sua vittima in mano, come nella locandina del Maniac originale; ma, a parte questi isolati aspetti, il film che ci si para davanti è crudele, compatto e sfaccettato, e la sua dialettica con il precursore si ritrova principalmente nel tentativo di recuperare un rapporto “dal basso” con la città, fatta di notti al neon, musiche e tinte cupe e ossessive. Partendo da questa struttura, il film si innalza secondo una logica che è più verticale che orizzontale, dove troviamo lussuosi appartamenti con ampie finestre sul panorama cittadino e un generale senso di ariosità che crea un felice contrasto con le discese di Joe Spinell nelle viscere della metropolitana.

La battaglia diventa quindi ancora una volta estetica: in questo modo il nuovo Maniac porta a definitivo compimento quel processo di riqualificazione e “plastificazione” dell'immaginario che, dai tempi del film di Lustig, è giunto alle dinamiche “digitali” dell'epoca odierna. Ecco dunque le chat attraverso le quali ci si conosce via foto e tutta la dinamica dei corpi femminili tatuati, mascherati in ruoli ben definiti (la ballerina, la fotografia, l'agente dai modi bruschi), che trova poi la sua rappresentazione ideale nei manichini di Frank. Non a caso stavolta Anna smette di fotografare corpi reali e utilizza invece le statue restaurate dallo stesso Frank, rendendo in questo modo il legame fra i due più pertinente alla storia e avvicinando i personaggi. Li vediamo infatti anche in momenti intimi, come quando vanno al cinema insieme, e in generale la loro relazione ha un peso specifico molto maggiore rispetto al film di Lustig.

C'è poi un altro punto di differenza fondamentale rispetto al prototipo: la rappresentazione delle donne e della violenza che Frank infligge loro è stavolta più consapevole del suo potenziale pruriginoso e della dinamica di desiderio/punizione che si genera con lo spettatore. Il mondo del “nuovo” Frank è infatti attraversato e retto da donne bellissime, intraprendenti e sicure della propria fisicità, di fronte alle quali il protagonista è “timido”: l'agguato diventa quindi una traslazione del desiderio che l'uomo (e lo spettatore) prova per loro, rendendo il tutto molto più ambiguo.

L'esito è perciò se vogliamo meno allucinato e malsano, ma più lirico nella sua potenzialità malinconica. E le punizioni che Frank infligge alle sue vittime fanno forse ancora più male, in particolare se a farne le spese sono creature angeliche come l'Anna di Nora Arnezeder, dotata di una gamma espressiva che la vede insieme forte e fragile, esattamente come accade con Frank. Di fronte a un ritratto così composito, l'idea di un ipotetico lieto fine (che il film accarezza, pur negandola alla prova dei fatti) non spaventa così tanto, ma anzi diventa quasi una allettante possibilità.

UPDATE: uscito in Italia direttamente nel mercato dell'home video il 28 Maggio 2014.


Maniac
(id.)
Regia: Franck Khalfoun
Sceneggiatura: Alexandre Aja, Grégory Levasseur
Origine: Usa, 2012
Durata: 93'

3 commenti:

Anonimo ha detto...

bella recensione, posterai anche lords of salem?
JOE

Unknown ha detto...

Sì, ma sono indeciso se farlo subito o in prossimità dell'uscita italiana...

fabio ha detto...

Uscita ancora incerta dato che la Notorius aveva detto che sarebbe uscito day& date con gli USA quindi il 26 aprile, oggi vado nel loro sito e vedo che c'è scritto che uscirà il 23 maggio :-(
Mah, valli a capire sti distributori...

Su Maniac, si ottima rece e non vedo l'ora di vedere il film, anche perchè l'originale, ammetto, non mi fa impazzire, si è un valido horror, ma di Lustig preferisco una certa trilogia su un certo poliziotto eh eh ;-), questo nuovo Maniac ha un trailer sconvolgente e sembra davvero essere un horror/thriller crudo e spietato come piace a me ;-)