"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

domenica 2 dicembre 2012

Torino 30+9 (+1)

Torino 30+9 (+1)

Come una partita che giunge ai tempi supplementari, la domenica permette spesso di recuperare i titoli che si sono perduti durante i 9 giorni di programmazione del Torino Film Festival (che dall'esterno possono sembrare molti, ma in rapporto alle tante pellicole passate sugli schermi bastano a malapena a coprire una bassa percentuale dell'offerta). Quest'anno, il Cinema Massimo ha dedicato la giornata a riproporre i film premiati, e l'occasione si è rivelata quella giusta per vedere Shell, di Scott Graham, vincitore, per l'appunto, della categoria principale, ovvero il Concorso Lungometraggi.
L'opera batte bandiera scozzese e si ambienta non a caso nello splendido paesaggio delle Highlands, che l'occhio di Graham riprende con particolare gusto, lasciando trasparire la forza imponente nota a chiunque abbia mai avuto a che fare con quei luoghi, senza però dimenticare quella qualità un po' aliena e ieratica, tipica di un angolo di mondo che sembra fare storia a sé. Qui vive Shell, una ragazza che, insieme al padre Pete, gestisce una pompa di benzina in mezzo al nulla. Le sue giornate trascorrono fra clienti talmente sporadici da esserle ormai familiari e un rapporto con il genitore che più volte sembra sfiorare la morbosità. Sebbene la possibilità dell'incesto venga esplicitata soltanto nel finale, per quasi tutta la sua durata il film suggerisce più che altro una condizione di immobilismo temporale che “blocca” la ragazza in una condizione infantile, come una bambina in un corpo di adulta e che perciò la spinge a cercare gesti d'affetto spontanei o a nascondersi nel letto paterno in cerca di calore, quando la caldaia si rompe. Il nome Shell, infatti, rimanda tanto a una nota marca di benzina (e quindi definisce l'attività lavorativa) quanto al “guscio” nel quale il personaggio è prigioniero, e che si lega al paesaggio immutabile delle Highlands. Sentimenti ambivalenti e opposti, che più di tutto sono sintetizzati dalla splendida figura della protagonista Chloe Pirrie, in grado di unire un'aria quasi impermeabile agli stimoli esterni, a una capacità di risultare estremamente desiderabile nella sua vulnerabilità. Un film di luoghi e di corpi, dunque, che affascina la mente più che appassionare il cuore, complice una struttura narrativa esilissima, tanto da far sorgere a tratti il sospetto di una pellicola abbastanza “facile” nella sua composizione e nella sua ricercata lentezza. Amata dalla giuria (che l'ha premiata all'unanimità) e dal pubblico, la si ricorderà comunque per il rumore costante del vento e quella ricerca del calore che, nell'ultimo cortocircuito sensoriale generato dal festival, si sovrappone alle temperature bassissime che da poco hanno iniziato a flagellare il capoluogo piemontese. Come realtà e finzione (e quindi vita e cinema), che ancora una volta si mescolano a formare un tutt'uno.
I resoconti giornalieri terminano qui, fra un paio di giorni – a mente più fredda – ci sarà un'ultima riflessione generale sul festival, mentre nelle prossime settimane il Nido dedicherà degli appuntamenti specifici ai titoli più interessanti.

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