"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

venerdì 19 aprile 2013

Lecce: non chiamatelo (più) festival “in crescita”

Lecce: non chiamatelo (più) festival “in crescita”

Si è conclusa, come previsto, sabato 13 aprile l'annuale edizione del Festival del Cinema Europeo, con un ottimo successo di presenze e un interesse degli addetti ai lavori molto più ampio che in passato: sembra proprio che Alberto La Monica e i suoi collaboratori siano riusciti a coniare una formula vincente, capace di tenere insieme amministratori locali, stampa e, soprattutto, pubblico. Ecco, soffermiamoci un momento proprio su di lui: il pubblico. Un insieme variegato, trasversale rispetto alle età, capace di riempire le sale per un film di Aki Kaurismaki, così come per gli eventi più o meno legati alla realtà locale - basti pensare al documentario su Pietro Mennea, diretto da Sergio Basso, e diventato anche un'occasione per affrontare il difficile rapporto tra meridione e settentrione d'Italia.

Onore al merito, quindi, perché di questi tempi così caotici e pregni di sprezzo per la cultura, l'idea di un festival fortunato e anche tendenzialmente lontano dalle lusinghe della più facile contemporaneità non è cosa da poco. Sarebbe ora tempo di abbandonare, quindi, le patenti di manifestazione “in crescita”, che lasciano sempre in bocca un certo sapore di snobismo, per dare alla manifestazione salentina quello che finalmente le spetta, ovvero un posto di primo piano fra gli appuntamenti culturali del meridione e, perché no, dell'Italia tutta: non tanto perché con quattordici edizioni ormai archiviate quel termine “in crescita” finisce per risultare un po' stonato, quanto perché l'impressione è quella ormai di un percorso solido, che può pertanto permettersi anche di essere considerato maturo.

In effetti, il bilancio dell'edizione 2013 è arricchito dalla grande varietà dell'offerta, che – pur mantenendo dritta la barra della ricerca di un cinema di qualità e fuori dagli schemi delle canoniche proposte da multisala – quest'anno ha dato la sensazione di voler intercettare target abbastanza diversificati tra loro. Il corpo iconico è dunque quello di Francesca Neri, attrice carnale eppure eterea a sfuggente, a cavallo tra varie cinematografie, il cui curriculum si snoda fra Italia, Spagna e America: anche qui, fermiamoci un attimo a pensare. Di certo nessuno, di fronte a un nome come quello della Neri, penserebbe mai a una gloria internazionale come potrebbe essere, ad esempio, una Sophia Loren o un Roberto Benigni. Eppure delle collaborazioni importanti dell'attrice si è già riferito nel pezzo di presentazione del festival. L'appuntamento leccese in fondo è proprio come lei: mantiene una specifica qualità regionale e particolare, ma è allo stesso tempo uno spazio senza confini, che finisce naturalmente per abbracciare realtà anche molto distanti.

Come a testimoniare questa volontà di andare oltre, basta notare l'interesse per le cinematografie mediorientali (l'inedita Settimana del cinema israeliano), che tracciano una “cartografia” cinematografica destinata ad allungarsi fino al cinema nordico di Aki Kaurismaki: presenza fantastica, quella del cineasta finlandese, anch'esso corpo iconico con tutto il suo apparato fatto di figure noir, sigarette che “rendono l'espressione dell'attore più interessante”, alcool che scorre a fiumi. Apparentemente anch'egli è espressione di un segno tangibile, concreto e definito, così come evidenti sono gli elementi autoriali del suo cinema, fatto di auto, volti che si ripropongono precisamente, rocker dagli improbabili ciuffi a banana. Eppure poi, quando lo vedi lì, sul palco, intento a recitare il suo “personaggio” del regista burbero e pronto a smitizzare ogni discorso con battute sferzanti, ti rendi conto che c'è una tensione nei suoi modi che è la stessa che serpeggia sottotraccia in ogni film: il sogno di un mondo differente e migliore, come quello perseguito con calma risolutezza dai magnifici personaggi del suo Nuvole in viaggio. Perciò, il pessimismo cosmico che l'autore profonde a piene mani, dicendoci convinto che l'uomo veleggia spiegato verso l'autodistruzione, nasconde in realtà una profonda sensibilità e capacità di guardare la realtà.

Ecco, per tutto questo il Festival del Cinema Europeo è ormai una certezza consolidata ma in perenne divenire, un laboratorio con cui è sempre piacevole confrontarsi. Certo, alcuni aspetti devono ancora essere limati: nel 2013 non è pensabile proporre alcuni film delle rassegne in versione non sottotitolata, così come l'idea di insistere con la scellerata abitudine dei posti numerati. Ma nel complesso c'è sempre di che divertirsi!

Concludo con una nota sul Concorso Lungometraggi, da sempre fucina di ottime pellicole, che anche quest'anno ha dimostrato il suo sguardo curioso e attento ai “mali del vivere” questo specifico momento storico. La pellicola più rappresentativa, a parere di chi scrive, è il russo Living, di Dalibor Matanic, purtroppo ignorato dai premi finali: un lirico dramma su amore e morte in cui i corpi dei morti e quelli dei vivi coesistono in uno spazio che è allo stesso tempo reale e mentale. Ci sarà tempo e modo di scriverne altrove. Per questo, qui in calce, sono proposti anche i link agli altri articoli sulla manifestazione che sto realizzando per altre riviste. Per il resto, ci si rivede a Lecce l'anno prossimo!

da Sentieri Selvaggi:
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