"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 1 ottobre 2013

Locke

Locke

Ivan Locke è il miglior uomo d'Inghilterra: padre felice, uomo realizzato e lavoratore animato da grande senso del dovere (è responsabile per i cantieri di una azienda edile), è insomma la classica persona su cui si può sempre fare affidamento. Ma non oggi. Ora Ivan Locke è in auto, in viaggio verso Londra, lasciandosi tutto alle spalle per assistere alla nascita di un figlio che ha avuto da un'avventura di una notte. L'unico atto irrazionale della sua vita, ma di cui vuole comunque assumersi tutte le responsabilità. Durante il tragitto cerca di risolvere per telefono le situazioni che ha lasciato indietro: spiegare alla moglie cosa è successo e gestire tutti i preparativi per una colossale colata di calcestruzzo per il nuovo cantiere che sta per aprire. La posta in gioco è la sua famiglia e il suo lavoro: ovvero tutta la sua vita. In tutto questo, Ivan deve fare conti con l'ombra di suo padre, un fallito da cui ha sempre cercato di distinguersi e in cui ora rischia di specchiarsi a causa dell'unico errore che ha commesso.


Un uomo, una strada e l'abitacolo della sua auto: tre elementi che bastano a Steven Knight per realizzare un gioiello cinematografico, senza far calare mai la tensione e affidandosi a pochi, ma solidi elementi. In primis il magnifico corpo attoriale di Tom Hardy, sempre più autentico camaleonte del cinema contemporaneo, capace perciò di rendere a meraviglia la figura duale di Ivan Locke: un vincente, per la posizione che è riuscito a ritagliarsi con le sue sole forze, ma anche un uomo gravato da un'ombra oscura, da quella figura paterna che solo lui vede riflessa nello specchietto retrovisore e che sta lì a ricordargli come la mela non cada mai lontano dall'albero. La performance di Hardy è tanto più straordinaria quanto alimentata da elementi quasi impercettibili: va infatti considerato come l'attore sia solo e in una posizione che consente ben poco movimento (è al volante della sua auto e comunica via telefono in viva voce). Il lavoro è principalmente sulla voce, dal tono basso, calmo, capace in tal modo di restituire il senso di solidità e affidabilità di Locke, la sua calma destinata apparentemente a non incrinarsi mai, stolida così come il suo senso del dovere che lo porta a correre da una donna che non ama, ma verso cui si sente responsabile, affinché suo figlio non nasca senza vedere il volto del padre.

Hardy lavora sui toni bassi della voce (il film non va assolutamente visto doppiato, qualora fosse distribuito) e in questo modo stabilisce il ritmo calmo del racconto, scandito dal continuo incalzare delle telefonate, mentre il personaggio cerca di ricondurre sempre tutto alla logica. La discrasia che si crea fra la calma apparente dell'uomo e il progressivo franare degli eventi crea il conflitto del film, con mille problemi che si accumulano tra i due fronti – quello familiare e quello lavorativo – su cui si trova sballottato Locke. Pur potendo contare su un lavoro di scrittura precisissimo e capace di dare ai dialoghi lo spessore drammaturgico necessario a esprimere la forza della storia, Knight ci mette comunque anche uno sguardo capace di massimizzare i risultati. La recitazione di Hardy è infatti enfatizzata da un uso espressivo della fotografia che crea uno scenario impressionista fuori dall'abitacolo dell'auto: le luci dei veicoli e le geometrie descritte dall'autostrada creano infatti una gabbia in cui chiudere l'uomo. Quello che vediamo è Locke fuori dal mondo ma dentro tutto il suo universo, così concreto nelle questioni che affronta, ma così evanescente nella distanza che lo separa dai fatti reali su cui tenta di avere il controllo. Lo stile visivo, pertanto, esteriorizza i conflitti portati avanti dalla vicenda immergendo totalmente lo spettatore su questo set tanto reale quanto mentale, dove, non a caso, la posta in gioco è sia costituita da eventi concreti (la calata del calcestruzzo) che squisitamente etici e ideali (il senso del dovere, la fiducia tradita verso la moglie e l'azienda).

Il resto lo fa un lavoro di scelta delle inquadrature che a tratti ritaglia spazi precisi sul volto di Hardy: quando, ad esempio, vediamo soltanto i suoi occhi incastonati nella superficie ristretta dello specchio retrovisore, l'espressione è differente; davanti a noi non c'è più il barbuto e corpulento padre di famiglia dall'aspetto così tradizionale e amichevole, ma cogliamo invece lampi di quella forza animale che era propria del Bronson di Nicolas Winding Refn. In questi momenti Knight dimostra come la scelta di Hardy sia una vera e propria dichiarazione d'intenti per esprimere un coacervo di emozioni che il volto così duttile dell'attore naturalmente è in grado di evidenziare e portare in dono al suo personaggio.

La metafora stessa del calcestruzzo, che nei dialoghi Locke individua quasi come un paradigma della realtà, diventa pertanto folgorante: duttile, morbido, eppure così essenziale per la solidità delle costruzioni che il personaggio innalza con il proprio lavoro, il calcestruzzo è la vita stessa di Locke, il tramite con quella realtà che l'uomo cerca di gestire nel migliore dei modi, salvo poi cedere nell'attimo in cui non usa più la logica e si abbandona all'istinto. La logica peraltro è anche quella che deve regolare la calata nel cantiere e che collide con i problemi creati dalla realtà con fare quasi sadico e “scientifico”.

Già sceneggiatore per Frears e Cronenberg (suo La promessa dell'assassino), Steven Knight è qui al secondo lavoro da regista (il primo, Redemption, è in questo periodo nelle nostre sale) e si è già ritagliato un posto d'onore per la coerenza dei suoi temi e la sicurezza dello stile: le sue sono storie di uomini che cercano di fare la cosa giusta, in un mondo governato da un caos che per questo tende a soverchiarli. Ivan Locke, in una sola notte, distrugge ciò che aveva costruito in un'intera vita per rispondere unicamente al suo senso di responsabilità, mentre invita parenti e amici a essere logici, salvo accorgersi del loro voltargli le spalle. E' un racconto morale, ma anche una parabola su un uomo che anela alla perfezione, ma non può che prendere atto della propria fallibilità: proprio in questa umanità sta il valore di un progetto che non cede alle facili lusinghe del moralismo astratto, ma è sempre, invece, iscritto in drammi che lo spettatore sente come profondamente veri. Un film folgorante, che si spera sia presto distribuito in Italia.

EDIT: uscito nei cinema italiani il 30 Aprile 2014.

Locke
Regia e sceneggiatura: Steven Knight
Origine: Usa/UK, 2013
Durata: 85'

1 commento:

myers82 ha detto...

sembra molto interessante e Hardy mi piace assai, di questo regista volevo vedere redemption, ma ovviamente lo hanno distribuito male e in poche sale, credo che lo recupererò in altra maniera.

quanto questo Locke se esce in italia e lo distribuiscono in maniera decente me lo vado a veder al volo e in italiano perchè non ho dubbi che la voce di hardy sia ottima, ma i nostri doppiatori sono bravissimi quindi credo che faranno un bel lavoro, poin in seguito mi vedrò anche la versione inglese x fare paragoni ;-)