"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

lunedì 4 novembre 2013

Encounters at the end of the World

Encounters at the end of the World

Werner Herzog si reca in Antartide per documentare la vita nella stazione scientifica McMurdo, situata sull'isola di Ross. Si imbatte così in uomini animati da grandi ideali, ma anche da persone che hanno scelto di fuggire da tutto e che magari si sono completamente reinventate (scienziati che guidano mezzi pesanti per il trasporto, ad esempio) o hanno finalmente trovato se stessi. Il viaggio comprende l'esplorazione della base e dello scenario ghiacciato, con punte sotto la calotta, attraverso le riprese di alcuni sub o entrando nelle caverne scavate dalle eruzioni sottomarine. L'isola comprende anche il vulcano Erebus, cui Herzog fa tappa, documentando gli studi dei vulcanologi, e un'immancabile comunità di pinguini.


Quasi lo speculare de L'ignoto spazio profondo, il documentario Encounters at the End of the World nasce effettivamente come tentativo di andare oltre quel progetto: Herzog, infatti, era rimasto affascinato dalle sequenze subacquee girate dall'amico Henry Kaiser (qui produttore e autore delle musiche), ma la sua esplorazione del continente antartico appare anche stavolta come una ricerca dei limiti, di vite che hanno compiuto scelte estreme, di sguardi nuovi su realtà complesse. Su tutto, però, domina nuovamente quel doppio sguardo che da un lato sogna ipotesi futuribili, in grado di farci affacciare su possibili scenari a venire dell'umanità; e dall'altro riflette sul senso del nostro stare al mondo di fronte a una natura ostile, spesso vittima delle nostre azioni, ma che pure si staglia con tutta la sua forza, in modo tale da risultare incredibilmente affascinante.

La specularità con L'ignoto spazio profondo si ritrova dunque nella scelta di uno stile documentaristico tradizionale (con tanto di voce narrante dello stesso Herzog che commenta i fatti, a volte anche con tono demistificatorio) che però non riesce a far venir meno l'idea di trovarsi di fronte a una sorta di bizzarra opera fantascientifica, per le implicazioni tirate in ballo dagli scienziati e per lo scenario assolutamente alieno di un'Antartide che si rivela però pregna di una vita altrimenti indefinibile: mostruose creature che vivono sotto la calotta polare, enormi distese di ghiaccio che – gli scienziati lo spiegano bene – sono da considerarsi quasi esseri viventi per il dinamismo cui sono sottoposte dalle forze che regolano la fisica terrestre. E poi il magnetismo che rende impossibile l'orientamento e che trasforma il gusto per la scoperta in un'esplorazione avveniristica, pari a quella dei viaggiatori dello spazio. Non a caso, la base di McMurdo viene vista dallo stesso regista come un territorio proteiforme: in parte avamposto tecnologico, in parte sorta di enorme cantiere che evoca scenari più da miniera che da stazione scientifica, in parte enorme città/parco giochi da cui fuggire per il più “serio” orizzonte ghiacciato.

Penso che una buona parte della popolazione, qui, sia composta da persone che sono contemporaneamente viaggiatori a tempo pieno e lavoratori part-time. Quindi, sì, loro sono dei sognatori professionisti, sognano per tutto il tempo. E penso che, attraverso loro, i grandi sogni cosmici entrano in circolo, perché l'universo sogna per i nostri sogni. Penso ci siano molti modi diversi per la realtà di andare avanti e il sogno è assolutamente uno di questi.

(Stefan Pashov – filosofo e operaio ai carrelli elevatori)

Herzog esalta il valore del sogno, tornando anche alle origini dell'esplorazione antartica di Henry Shackleton, Robert Scott e Roald Amundsen, e spiega come è cambiato il rapporto dell'umanità con il continente: da terra ostile e imprendibile a sorta di nuovo orizzonte delle opportunità. In tal modo il film sembra muovere ancora una volta una critica a un mondo “di fuori” che i personaggi intervistati sembrano rifuggire, chiamando anche esplicitamente in causa l'apocalisse (lo scienziato che visiona film di fantascienza anni Cinquanta) o i metodi di vita alternativa (l'appassionato di filosofia new age che coltiva pomodori). Lo sguardo è curioso, goloso, attento a riprodurre la varietà degli spunti che la materia offre, ma allo stesso tempo anche esistenzialista: diventa emblematico, in tal senso, il ruolo dei pinguini. Il regista spiega chiaramente all'inizio come non si sia recato in Antartide per filmare i pinguini, animali che, peraltro – e sarebbe interessante capire il perché – in tempi recenti hanno goduto di un'esposizione filmica notevole, tanto da diventare anche personaggi cult in opere animate come Madagascar o Surf's Up

Herzog rifugge da queste caratterizzazioni, ma evita anche il facile anticonformismo di riportare i pinguini stessi alla loro condizione animale attraverso un approccio documentaristico classico. Al contrario, evoca ironicamente le dinamiche della loro sessualità, ma soprattutto ci colpisce con l'immagine altamente evocativa di uno di loro che si stacca dal gruppo e, come in preda a una folle frenesia, si dirige verso gli spazi aperti, condannandosi in tal modo a una fuga che è anche una inconsapevole ricerca di morte. Un pezzo di cinema incredibile e altissimo, una scheggia di irrazionalità che si incista nel reale con tale naturalezza da erodere ancora una volta il confine tra la documentazione asettica del mondo e la tensione fantastica che il regista sembra perseguire in un misto di abilità nel “catturare” l'ignoto e sensibilità nel cogliere “l'umanità” (da intendersi come mera umoralità) iscritta nei recessi della natura.

E' l'emblema perfetto dei limiti che la ricerca chiama in causa, di grandi possibilità che diventano anche una strada verso la perdizione. La vita e la morte, insomma, in uno scenario ostile ma anche di grande fascino visivo, esplorato con una buona dose di lirismo, non dissimile da quella già vista nelle ultime prove documentaristiche dell'autore: a metterle insieme verrebbe fuori una mappa abbastanza omogenea di un percorso che il cineasta tedesco – pur senza rinunciare al faceto – sta compiendo. Una sorta di ricerca delle origini dell'uomo e, va ribadito, del suo stare al mondo, ma anche della fine o del possibile reinizio. Non a caso una delle ultime immagini riguarda il lancio di una mongolfiera, che sembra quasi rappresentare un collegamento e un'ideale chiusura del cerchio con il poco distante (e precedente) Il diamante bianco.

Il documentario, realizzato nel 2007, è tuttora inedito per la distribuzione italiana.


Encounters at the End of the World
Regia e sceneggiatura: Werner Herzog
Origine: Usa, 2007
Durata: 97

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