"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

martedì 19 luglio 2016

'80 L'inizio della barbarie

'80 L'inizio della barbarie

La saggistica sugli anni Ottanta, come già evidenziato, tende per lo più ad appiattirsi sul ricordo nostalgico di chi ha vissuto sulla propria pelle (infantile) quel decennio e il suo composito immaginario, partorito da televisione, cinema, musica, fumetti e quant'altro. Ma qual era il cuore pulsante di un'epoca che si presentava con il ritratto spensierato della Milano da Bere, consegnata ai posteri dal memorabile spot di un amaro nel 1985?

Paolo Morando, giornalista e vicecaporedattore del “Trentino”, ci ricorda che, in fondo, l'approccio al nuovo decennio fu tutt'altro che lieto: il 1980 consegna infatti alle cronache la strage di Ustica, quella della stazione di Bologna e il terremoto dell'Irpinia. Nell'arco di appena un paio d'anni vanno registrati anche i sequestri, da parte delle Brigate Rosse, del magistrato Giovanni D'Urso, del dirigente del petrolchimico di Marghera Giuseppe Taliercio, di Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio, dell'assessore campano Ciro Cirillo; la lista di inizio decennio prosegue, come un fiume in piena, con la scoperta degli associati alla Loggia P2, l'assoluzione degli imputati per la strage di Piazza Fontana, l'attentato a Giovanni Paolo II, la morte di Roberto Calvi a Londra, il trauma nazionale di Vermicino con la morte del piccolo Alfredino Rampi, l'agguato al Generale Dalla Chiesa, l'assalto alla sinagoga di Roma... chiunque abbia un minimo di ricordo dei telegiornali dell'epoca, rievocherà facilmente uno scenario difficile, marchiato da eventi luttuosi e disastri, quelli citati da Morando non sono nemmeno tutti: la Storia sembra insomma ribaltare un disegno poi abilmente coperto dall'euforia generata da eventi più lieti, come la vittoria della Coppa del Mondo di Calcio nel Mondiale di Spagna, che nel 1982 arriva a riunire l'Italia intera (e fa anche dimenticare lo scandalo calcio-scommesse, sempre del famigerato 1980).

Come si può notare, la contrapposizione è fra una Storia reale che sembra tracciare ferite profonde nella coscienza collettiva, e macro-eventi che svolgono una funzione rigenerante per l'immaginario altrimenti malconcio del nuovo decennio. Il saggio di Morando cerca pertanto di lavorare proprio su questa doppia traccia: da un lato riporta alla luce fatti di cronaca ormai dimenticati, che smitizzano e riscrivono l'aura degli Ottanta; da parte dell'autore, si badi, non c'è la facile voglia di abbattere i miti di una generazione. Nelle sue parole, anzi: “è difficile dar torto ai quarantenni di oggi e al loro struggersi: più che della propria gioventù, e ci mancherebbe, è il ricordo di un'età dell'abbondanza poi mai più ritrovata, del moltiplicarsi dei palinsesti, di carrelli pieni nei supermercati, merci e suggestioni. Sogni e futuro. Una visione legittimata da chi ha provato a raccontare quegli anni al di là di date, eventi, governi e Pil.

L'autore cerca però di stare ai fatti e stabilire come, nel calderone delle memorie, vadano analizzate con più puntualità alcune delle simbologie più ambigue del decennio, spesso derubricate con l'alibi della leggerezza, della goliardia e del “dolce ricordo”, per comprendere come proprio nell'epoca dell'apparente spensieratezza si piantavano i semi di problematiche che sarebbero poi esplose con la loro evidenza solo in futuro.

Morando parte quindi da cinque temi/categorie, riassunte in altrettanti capitoli: L'Italia nordista racconta i prodromi del leghismo e la scoperta di una feroce divisione Nord/Sud sintetizzata dallo slogan “Forza Etna”, collegato alla problematica eruzione del 1983, evidentemente eletta dagli antimeridionalisti a strumento divino di “pulizia” per cui fare il tifo. Ripensando agli ignobili commenti razzisti apparsi in questi giorni sui Social Media a proposito della strage dei treni di Corato, in Puglia, si capisce come la riflessione sia centrata. Quello dell'antimeridionalismo è un tema che ritorna un po' in tutto il volume: lo ritroviamo infatti anche nel terzo capitolo, L'Italia becera, centrato in gran parte sul fenomeno di Radio Parolaccia, ovvero il microfono aperto di Radio Radicale che divenne una valvola di sfogo per gli istinti più violenti e razzisti degli ascoltatori, lasciando emergere uno sconcertante ritratto del “paese reale”, fino ad allora del tutto ignorato – con buona pace di chi ancora oggi lo ricorda come un fenomeno spassoso, si vedano i commenti divertiti ai video di YouTube dedicati alla questione. Ancora l'ultimo capitolo, L'Italia razzista, sebbene si concentri in modo particolare sui fenomeni collegati all'immigrazione dai paesi africani, dando voce a tante storie sconcertanti di quotidiana intolleranza, non manca di rivangare ulteriormente la divisione fra Nord e Sud.

I due capitoli rimasti, L'Italia paninara e L'Italia rampante affrontano invece l'aspetto più discusso ed esteriore degli anni Ottanta, ovvero il mito edonistico dell'apparenza collegata alla ripresa economica, anche in questo caso legato a doppio filo alle problematiche identitarie pronte a sfociare nelle contrapposizioni evidenziate nel resto del volume. L'autore continua a interrogarsi sul reale significato di iconografie e mode, non propende per facili soluzioni, ma indaga gli aspetti più controversi di un'Italia che vuole apparire civile ma si scopre sempre più incattivita.

Morando è bravo a non personalizzare mai troppo le varie problematiche, evitando così il rischio di creare facili capri espiatori (pur facendo sempre nomi e cognomi): ciò che infatti sembra interessargli è mettere in luce una serie di tendenze poco visibili, ma profondamente diffuse, che dicevano dello spirito di un'epoca e di una nazione che si lasciava alle spalle le ferite del terrorismo e le battaglie ideologiche dei decenni precedenti, andando incontro al futuro con un sorriso, ma senza elaborare le profonde trasformazioni che nel frattempo erano maturate nella coscienza collettiva, la cosiddetta pancia del Paese.

L'aspetto più interessante del volume riguarda lo stile: la divisione in cinque macro-argomenti non impedisce infatti all'autore di adottare una forma narrativa molto scorrevole, che spesso devia dal percorso principale attraverso divagazioni utili a ribadire la natura composita dei fenomeni raccontati. Ci si ritrova così guidati lungo percorsi dove punti apparentemente lontani si collegano e si cerca di dare corpo a una visione ad ampio raggio: ogni aspetto finisce così per nascondere molte possibili sfaccettature e un unico punto prospettico può aprire diversi percorsi tematici (per orientarsi nella galassia di riferimenti viene utile l'indice dei nomi pubblicato in coda).

Il libro abbraccia fino in fondo questo punto di vista “allargato”, lasciando al lettore le considerazioni finali, senza tirare somme in maniera troppo netta: l'impressione che la lettura suscita è dunque quella di un'epoca complessa e difficile, per l'Italia e non solo (sebbene la politica estera resti sullo sfondo, evocata soltanto quando ha ricadute dirette sulla scena nostrana). Un ritratto quindi più reale di quello propagandato dalla saggistica più celebrativa, non rancoroso, che rappresenta un primo passo per una storicizzazione più equilibrata, sebbene ancora impossibile, vista la vicinanza del periodo preso in esame - “L'inizio” del titolo può essere letto anche in questo senso.

L'analisi può dunque dirsi un buon punto di partenza, complice anche la ricca documentazione riassunta dall'autore in un capitolo apposito, preferito alle classiche note a pie' di pagina – il sottoscritto avrebbe preferito questa seconda e più classica soluzione, ma è comprensibile l'esigenza di non appesantire eccessivamente la lettura.


'80 L'inizio della barbarie
di Paolo Morando
2016
Editori Laterza, Roma-Bari
243 pagine