"C'è chi crede in dio o nel denaro. Io credo nel cinema, nel suo potere. L'ho scoperto da ragazzino, mi ha aiutato a fuggire da una realtà in cui ero infelice. È una delle forme d'arte più alte che l'uomo ha concepito. Credo nel suo futuro."
(John Carpenter)

giovedì 17 luglio 2014

Transformers 4

Transformers 4

Sono trascorsi tre anni dalla battaglia di Chicago e i Transformers superstiti sono braccati dalla Cemetery Wind, una branca segreta della CIA guidata dal fanatico Harold Attinger, che non distingue fra Autobot e Decepticon. Per fare questo, Attinger ha stretto alleanza con Lockdown, un cacciatore di taglie cybertroniano che non è schierato con nessuna fazione e il cui interesse è la cattura di Optimus Prime.
Nel frattempo, Cade Yaeger, inventore spiantato, recupera un vecchio camion arrugginito per rivenderne i pezzi e scopre che si tratta proprio di Optimus Prime. L'uomo, insieme alla figlia Tessa e al suo fidanzato Shane, si ritrova così coinvolto nella caccia scatenata da Hattinger ed è costretto alla fuga. Scopre ben presto che Hattinger è legato alla società KSI, guidata dal brillante scienziato Joshua Joyce: questi è riuscito a isolare il Transformio, il metallo di cui sono fatti i cybertoniani, per creare una nuova razza di droni-transformers. Il suo primo prototipo è Galvatron, in cui è stata riversata la memoria di Megatron. Joyce crede di poterlo controllare, ma in realtà l'ex comandante dei Decepticon sta approfittando della situazione per rivivere in un nuovo corpo.
Si crea in questo modo un triplice fronte: gli umani si aspettano di ricevere da Lockdown, in cambio di Optimus Prime, un seme cybertroniano da far esplodere per produrre Transformio in enormi quantità. In questo modo potranno produrre droni su larga scala, monopolizzando l'industria bellica americana. Megatron sta per risorgere in Galvatron, e assume il controllo della nuova armata di droni-transformers giò realizzati: il suo scopo è usare il seme cybertroniano per sterminare gli umani. Lockdown, dal canto suo, continua a cercare Optimus Prime, reclamato dai misteriosi Creatori dei Transformers. Prime con gli ultimi Autobot, insieme a Cade e agli amici umani, combatte così la battaglia finale fra le strade di Hong Kong. Al suo fianco c'è l'armata dei Dinobot, antichi Cavalieri barbari cybertroniani liberati dalle prigioni della nave di Lockdown.


Il quarto Transformers è probabilmente il film che Michael Bay ha sempre sognato di fare: quantomeno quello verso cui tutta la sua produzione e la stessa saga hanno sempre proteso! Come il seme che vediamo nel film, la pellicola riscrive l'ordine naturale del mondo, fagocitando le forme preesistenti, per portare tutto alle estreme conseguenze performative e estetiche. Così, Transformers 4 si offre sì come l'annunciato re-inizio della saga, ma anche come una ricapitolazione delle vicende precedenti. C'è un nuovo cast, il tono (soprattutto nella parte iniziale) è più fresco e leggero, i design dei robot sono implementati, ma ritroviamo scenari a noi già familiari, come il deserto del secondo capitolo o la Chicago del terzo, che già rappresentava di per sé un ampliamento della città in cui si combatteva nel capostipite. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si tra(n)sforma.

L'operazione è favorita dalla scrittura probabilmente più involuta e banale della tetralogia: farraginosa nell'articolazione del racconto e divisa tra numerosi fronti, si dimostra rozza nella definizione dei personaggi e nella scelta del cattivo (un poco carismatico Lockdown) e quasi frammentaria nella giustapposizione delle scene, con un curioso effetto a “salti” che restituisce la buffa impressione (quasi “alla Mario Bava”) di una sceneggiatura cui siano state strappate delle pagine in corso di lavorazione per arrivare al dunque. Riesce comunque a tenere a bada l'effetto-caos grazie a una struttura generale molto schematica e priva di sorprese destabilizzanti, rimandando presumibilmente ogni spiegazione a futuri seguiti (si pensi a tutto il subplot dei Creatori e dei Cavalieri, qui soltanto accennato).

Bay affronta questo materiale con lo stesso spirito dimostrato da Joshua Joyce nel plasmare il Transformio a piacimento, rendendolo l'humus di una performance estrema, che abbraccia ed esplora ai massimi livelli la componente avanguardista già evidenziata nella saga: il film si articola così in un balletto di forme in continua ridefinizione, che giunge al suo massimo grado estetico nella scomposizione a livello atomico dei nuovi transformers-droni, autentici sciami di pixel impazziti che tagliano l'inquadratura descrivendo geometrie astratte da installazione di video-arte. Tutto questo mentre il ritmo affastella in modo forsennato scontri, situazioni e balletti di corpi e metallo, in particolar modo nell'ultima parte, dove il film letteralmente impazzisce e si libera. Se per il secondo capitolo si era parlato di Action Painting, qui forse siamo ancora oltre - fatto che curiosamente rispetta la regola per cui i capitoli pari si offrono come i più sregolati e sperimentali, a fronte della maggiore strutturazione narrativa di quelli dispari.

In particolare, Bay coglie l'aspetto più importante della banale sceneggiatura di Ehren Kruger, ovvero la capacità di articolare il racconto secondo traiettorie che rendono lo spazio filmico un autentico schema geometrico: Cade, Tessa e Shane fuggono in auto, inseguiti dagli uomini di Cemetery Wind e lo sguardo di Bay passa senza soluzione di continuità (e spesso all'interno della stessa inquadratura) dai veicoli in fuga agli interni dell'abitacolo, fino ai tetti su cui Optimus Prime e Lockdown combattono. L'impressione è quella di uno spazio unico e “chiuso” in cui si racchiude tutto il mondo, ma anche di un set articolato su numerosi “livelli”, che crea così una intelligente sponda con la struttura narrativa frammentata in tanti piccoli fronti. E se la vicenda impone poi continui spostamenti (traiettorie, appunto) da un luogo all'altro, la chiusa a Hong Kong offre nuove possibilità visive a un racconto tutto disteso sulle incredibili geometrie urbane di una città-reticolo, dove le case si accumulano l'una sull'altra, le strade si riempiono di cavi, oggetti, forme solide tonde e quadrate, mentre umani, robot e sauri meccanici sconvolgono le leggi della fisica salendo e scendendo dagli edifici sulle facciate esterne, sollevando navi e sfruttando ogni oggetto per combattere.

Il gioco sta quindi fra il continuo rimpallarsi di una tensione astratta e geometrica, e la veridicità offerta da un set materiale che richiama la concretezza del vero attraverso l'esibizione di luoghi iconici (la Monument Valley, i palazzi di Chicago, la Grande Muraglia Cinese), che Bay reitera e al contempo smonta nel gioco forsennato delle forme che vi si muovono all'interno. Ne viene fuori una vertigine di senso che rende il divertimento dannatamente serio: per la prima volta, infatti, gli Autobot uccidono gli umani e la traccia portante segue un uomo oppresso dal proprio dramma familiare e dal desiderio di assicurare un buon futuro a sua figlia. Ma, allo stesso tempo, tutto è inscritto nella capacità di trasfigurare il mondo in un'enorme e concreta area di gioco: è come se Bay applicasse l'approccio di certi film d'animazione contemporanei al Live Action, fondendo linguaggi e piani creativi. In questo senso Transformers 4 è molto più vicino a opere come The LEGO Movie di quanto non appaia, mostrandoci una visione registica radicale nella sua concezione estrema di blockbuster e di “toy movie”. Cinema di massa, eppure non per tutti.


Transformers 4 – L'era dell'estinzione
(Transformers: Age of Extinction)
Regia: Michael Bay
Sceneggiatura: Ehren Kruger
Origine: Usa, 2014
Durata: 165'